lunedì 10 giugno 2019




LE STAGIONI DEL COMMISSARIO PERSICHETTI




Ero veramente curioso di leggere questo secondo romanzo di Raffaele Totaro.
Un po’ perché  sono sempre curioso di vedere cosa riescono a tirare fuori dal cilindro gli amici, ma soprattutto perché fui tra i primi a leggere La ragazza del treno, il suo primo lavoro come scrittore.
Un libro discreto, che si leggeva tutto d’un fiato, coinvolgente, con una bella caratterizzazione dei personaggi, ma che risentiva di un finale a mio modo di vedere un pochino trascurato.
Totaro è un ragazzo poliedrico: si divide tra teatro, cinema e scrittura, non solo attore, ma anche regista. E’ un ragazzo serio, crede in quello che fa, se accetta una collaborazione, puoi star sicuro che con lui si arriverà in fondo.
Le stagioni del commissario Persichetti è un giallo, così come il libro precedente, ma se in quel caso parlai di un giallo psicologico, ora parlo senza problemi di un romanzo classico, che segue tutti i codici del genere.
Un commissario di Pistoia viene trasferito in Puglia a Manfredonia, alle prese con vari delitti che avvengono nell’arco delle quattro stagioni dell’anno.
Il libro è appunto strutturato attraverso quattro racconti che costituiscono un unicum narrativo su cui si snodano anche le vicende private del commissario Persichetti.
I personaggi sono caratterizzati benissimo, in maniera cinematografica, ovvero leggi e te li immagini tranquillamente come potrebbero essere nella realtà.
Persichetti è un commissario capace, dotato di un grande intuito, ma soprattutto la caratterizzazione che gli viene data è quella di una persona con una grandissima umanità, che riesce a provare fortissimi sentimenti che spesso lo ammantano di uno strato quasi di malinconia e solitudine.
I paesi descritti sono quelli che uno si aspetta: ovvero storie nascoste, intrighi, comari sempre pronte a spiare da dietro le finestre i nuovi arrivati nel paese.
Il tutto è descritto benissimo, come un affresco.
Lo stile della narrazione rispecchia fedelmente il genere proposto: ovvero è quello del giallo classico, senza virtuosismi, senza caricare mai i toni soprattutto nella descrizione dei delitti, quindi molto lineare.
Il punto di forza del romanzo è la descrizione della Puglia: giuro non ci sono mai stato, ma leggevo il libro e alla fine è stato come fare un viaggio in Puglia.
La nota dolente, e che ho notato nel primo e nel quarto racconto, è l’eccessiva fretta nella soluzione dell’intreccio, si arriva troppo presto alla conclusione e con colpi di scena, abbastanza “telefonati”, ma senza pregiudicare il buon esito del tutto.

giovedì 30 maggio 2019


AQUARIUS VISIONARIUS





Ero molto curioso di vedere questo documentario su Michele Soavi, per diverse ragioni.
La più importante, quella di conoscere meglio questo regista- autore di cui ho visto solamente gli horror, il documentario su Dario Argento, Arrivederci amore ciao, e due film per la televisione come Uno bianca e L’ultima pallottola.
Aquarius visionarius è realizzato da Claudio Lattanzi (Killing birds, Everybloody’s end), ed ha circolato per diversi festival tra cui il Fantafestival di Roma e il prestigioso festival di Sitges, ma al momento non ha ancora avuto una distribuzione sicura in home video, ma il buon Lattanzi mi ha gentilmente concesso la visione del documentario. 
A chi mi chiede qual è stato il regista che mi ha fatto appassionare al cinema, rispondo sempre “mi piacerebbe dire Mario Bava, però la verità è che sono nato col cinema di Dario Argento, e per la precisione col film Opera, un film che vidi a nove anni, che non riuscii a terminare, e che mi fece conoscere il concetto di paura cinematografica”.
Se invece qualcuno, avesse il buon senso di chiedermi: “ qual è il regista che hai rivalutato da adulto o meglio da adolescente, quando hai iniziato a studiare un po’ di cinema e a scoprire varie sfaccettature di questa arte?”. Risponderei senza problemi, facendo il nome di Michele Soavi.
Aquarius visionarius, rispecchia fedelmente l’essenza del Soavi regista di cinema, ovvero un innovatore, nato già come autore come testimoniato dallo stesso Argento che si meravigliava della libertà e tranquillità con cui Michele iniziava a fare questo lavoro, grazie alla produzione dello stesso Argento, che in quel periodo si era messo a produrre diversi film che sono entrati di diritto nella storia del nostro cinema horror, e che allietavano i pomeriggi di noi giovani appassionati che andavamo nelle videoteche (quando ancora non c’era internet, e c’era più contatto umano con le persone).
Io ho ricordi nitidi di quando ad undici anni guardavo i suoi film come La chiesa e La setta durante le proiezioni notturne di notte horror, e nonostante fossero pellicole che mi facessero paura (la cifra stilistica in cui da piccoli si giudica un film horror), non capivo diversi passaggi del film, come per esempio nella Chiesa quando la sposa rimane impigliata nelle porte della cattedrale, il bambino che si mette a suonare la tromba e tante altre cose che nemmeno consideravo strane, ma proprio sbagliate all’interno di un film horror, con tutta la presunzione del pischelletto non addetto ai lavori con la bocca ancora sporca di latte.
Quando uscì Dellamorte Dellamore, invece mi incazzai proprio, ero già da diversi anni nell’orbita Dylan Dog (che ancora non mi è passata, e non passerà mai), quindi mi aspettavo un film diverso, senza capire che era la versione di Soavi del romanzo di Sclavi di cui ignoravo l’esistenza e che certe scelte come Anna Falchi e Masciarelli che consideravo di pessimo gusto, erano stratagemmi- compromessi imposti e che accetterei pure io.
Da adulto ho riscoperto il cinema di Soavi, guardando anche il tassello horror che mi mancava all’appello ovvero Deliria (Stage fright).
Lattanzi che conobbe Soavi sui set di Dario Argento era la persona giusta per realizzare questo lavoro, sia per conoscenze registiche, per competenze cinematografiche ma soprattutto per avvicinare le persone coinvolte, cosa notoria è la ritrosia dello stesso Soavi, verso le partecipazioni ai festival.
Amico di vecchia data, collaboratore, ma nello stesso tempo critico al riguardo di certe scelte televisive di Soavi (concordo pure io), Lattanzi è riuscito a scardinare le porte entrando dentro il suo mondo a facendogli fare alcune rivelazioni, come il suo primo incontro con la paura da piccolino, grazie allo stratagemma di alcune badanti per farlo mangiare (mi sono venuti in mente i racconti di Pupi Avati), all’incontro con Quentin Tarantino al festival Noir di Viareggio (cosa verissima perché in quel cinema, lungo il corridoio, si possono vedere nella bacheca la locandina delle Iene autografata dallo stesso Tarantino), appunto fino ad arrivare alla fase televisiva di Soavi.
Un percorso che non posso commentare perché appunto ho visto solamente Uno bianca con Kim Rossi Stuart e l’Ultima pallottola con Giulio Scarpati  basato sul serial killer Donato Bilancia.
Film belli perché ovviamente un regista valido non si dimentica di come si realizza un film, però appunto destinati ad un pubblico televisivo, con tutti i codici che impone la tv.
Come invece specificato dallo stesso Soavi nel documentario, L’ultima pallottola fu un vero e proprio flop, per un semplice motivo, era un film non da prima serata, e faceva paura, quindi gli spettatori cambiavano canale.
Aquarius visionarius, è un documentario completo, realizzato ad arte, in maniera dinamica, intervallato da interviste a collaboratori del regista come Geleng, Michele Placido, Sergio Stivaletti, Dario Argento, ma anche Simon Bosswell autore della colonna sonora di Deliria che è un valore aggiunto ad uno splendido film.
Lattanzi per tutta la durata complessiva dell’opera, si ricorda che sta realizzando un documentario e non un film, quindi mantiene l’assoluta padronanza di questo mezzo e non vira su altri lidi, cosa non da poco perché spesso vediamo prodotti che sono una via di mezzo tra il film con una regia che si permette vezzi d’autore poco pertinenti e il documentario stesso.
Io sinceramente in questo caso, visto e considerato che il fine di questa opera è appunto quella di far conoscere la materia, l’argomento di cui si parla allo spettatore, che magari ne sa poco o niente, prediligo sempre la forma classica e meno dispersiva, e sotto questo aspetto Aquarius visionarius è perfetto.





domenica 26 maggio 2019

BRIGHTBURN- L'ANGELO DEL MALE





BRIGHTBURN- L’ANGELO DEL MALE




Al netto delle varie polemiche nate in merito ad eventuali tagli imposti dalla casa di distribuzione per evitare un v.m.18 al film, ero veramente curioso di vedere questo Brightburn.
Non tanto per la trama che è semplicissima, ovvero una sorta di Superman in versione horror: un bambino caduto dal cielo in una navicella spaziale, viene adottato da una famiglia che non può avere figli.
Svilupperà ben presto una forza assurda e dei poteri che utilizzerà in maniera distruttiva verso tutti quelli che lo circondano.
Ero curioso, perché già dal trailer si intuiva il potenziale da buon film d’intrattenimento, c’era un v.m 14 che poteva dire che il film era stato con una bella dose di violenza, e la presenza di James Gunn nelle vesti di produttore e quindi poteva essere una sorta di ritorno ad atmosfere come quelle del gioiellino di Slither, e ad una maggiore libertà, senza essere ingabbiato dalle major.
Ma soprattutto vedere una sorta di cinecomic per adulti al cinema e magari anche parecchio tamarro.
Il film è stato distribuito in maniera discreta nelle sale.
Promesse mantenute? NI.
Nel senso che dietro una buona regia di David Jarovesky (ma dubito che James Gunn non c’abbia messo lo zampino), ci sono diversi problemi di sceneggiatura, ovvero la natura del ragazzo è poco sviluppata, e invece dovrebbe essere uno dei punti più interessanti da affrontare.
La violenza è mostrata, a tratti in primo piano, ma con un freno a mano ben tirato, ci sono riprese insistite di ferite, incidenti, ma in altre situazioni si sfrutta troppo il fuori campo.
Un fumettone alternativo, interessante, di sicuro intrattenimento, ben recitato, ma che poteva essere sfruttato molto, molto meglio.


https://www.youtube.com/watch?v=RaYBYsHjz6I

venerdì 24 maggio 2019

RABBIA FURIOSA- LA VERSIONE DI STIVALETTI DEL CANARO



RABBIA FURIOSA




Un caso anomalo avvenne l’anno scorso 2018, nel panorama cinematografico italiano, ovvero quando uscirono quasi contemporaneamente due film italiani, ispirati al celebre caso di cronaca nera del canaro di Roma, ovvero Dogman di Matteo Garrone e Rabbia furiosa di Sergio Stivaletti.
La storia per chi non la conoscesse è quella di un proprietario di un negozio di toilettatura di animali che dopo anni di angherie ed umiliazioni subite da un ex pugile, bullo del quartiere, si vendica in maniera atroce.
Se Dogman ha ricevuto un’ottima distribuzione nei cinema, vinto numerosi premi ai David di Donatello e fallito per poco la nomination agli oscar, per Rabbia furiosa dobbiamo parlare di un prodotto indipendente, che non ha avuto la grossa produzione del film di Garrone.
Quindi conosciamo perfettamente tutte le difficoltà realizzative- distributive che hanno i prodotti indie, a fronte di una maggiore libertà dell’autore.
Sergio Stivaletti insieme a Carlo Rambaldi, Mario Bava e Giannetto De Rossi               è uno dei più grandi effettisti che abbiamo, riconosciuto all’estero e che lega il suo nome in maniera indissolubile al cinema di Dario Argento e a quello di Lamberto Bava visto che gli effetti speciali dei due film di Demoni sono opera sua.
Purtroppo una volta che l’arte di Argento è calata a picco in maniera tragica con film ignobili, anche il nome di Stivaletti è caduto barcamenandosi in collaborazioni assurde come per il film In the market di  Lorenzo Lombardi (giuro un film così brutto, non mi era mai capitato di vederlo), mentre invece film pregevoli come Bloodline di Edo Tagliavini che rimane un discreto divertissement con una regia che si può definire regia e l’ottimo Morituris di Raffaele Picchio sono stati quasi disconosciuti dallo stesso Stivaletti.
Rabbia furiosa venne presentato al Fantafestival di Roma, e ha suscitato immediatamente numerosi apprezzamenti da riviste specializzate come Nocturno e diverse persone che conosco che hanno avuto modo di vederlo in qualche festival, mi hanno detto che è un film meritevole.
Recentemente è stato distribuito in dvd- blu ray dalla Home movies.
Sinceramente di Stivaletti regista, nutrivo molti dubbi, Maschera di cera, è un film che nonostante i suoi difetti, rimane una discreta pellicola d’intrattenimento, mentre invece I tre volti del terrore, rimane un film inguardabile sotto tutti gli aspetti.
Rabbia furiosa, nasce anche grazie alla sceneggiatura di Antonio Tentori e Antonio Lusci (anche protagonisti di un piccolo cameo), vecchie conoscenze del cinema italiano e si rinnova la collaborazione di Stivaletti con la bellissima Romina Mondello, già attrice nel suo debutto da regista con Maschera di cera.
Le premesse del regista romano, a differenza di Garrone erano quelle di un “canaro” che rispettasse maggiormente la realtà dei fatti, un personaggio nudo e crudo, senza licenze poetiche come in Dogman.



I fatti partono direttamente dall’uscita del carcere del canaro, dove ad aspettarlo c’è il suo amico- aguzzino ex pugile, che durante il soggiorno in prigione, gli ha ristrutturato il negozio.
Da questo episodio che non si tratta di un favore tra amici, si sviluppa il rapporto da despota, che inizia ad avere con lui, costringendolo a tornare sulla cattiva strada con la violenza fisica e psicologica, fino all’estremo atto finale.
La rappresentazione della Roma dove si svolgono i fatti è realizzata in maniera egregia, siamo nell’estrema periferia, nella zona malfamata, dove i personaggi si muovono tra mille brutte scorciatoie per poter emergere.
Una Roma polverosa, sporca, che inghiotte lo spettatore tra lunghe strade interstatali, parcheggi deserti e luoghi nascosti dove si assiste alla lotta clandestina tra cani.
La caratterizzazione dei personaggi è fatta in maniera eccellente, così come sono ottime tutte le recitazioni, tra cui spicca Riccardo De Filippis nella parte del canaro e Virgilio Olivari nella parte del pugile attore già visto nel film Bloodline di Tagliavini, interpretazioni molto fisiche, dove gli sguardi, la mimica facciale diventano parte integrante dei personaggi.
Rabbia furiosa dura quasi due ore, senza nessun cedimento, grazie ad una fluidità narrativa ben distribuita per tutta la pellicola, una regia attenta ai particolari, ma anche con diversi guizzi che mi hanno sorpreso parecchio, con almeno un paio di scene difficili da realizzare, e una bella fotografia .
La violenza si mantiene sotto l’aspetto psicologico per quasi tutta la durata del film, ma fa male, diventa quasi insostenibile nel momento in cui il canaro subisce l’ultimo grande sopruso in casa propria, quello che lo fa definitivamente impazzire.
Da questo momento invece assistiamo ad un autentico bagno di sangue, una sorta di show del gore più estremo, dove si vede veramente tutto quello che può disturbare un pubblico non abituato a queste immagini, facendo appunto prendere al film un divieto ai minori di anni diciotto.
Tutto ripreso in primissimo piano, senza censura e senza giochi di macchina con fuori campo che farebbero capire allo spettatore quello che sta succedendo senza mostrare .
Niente viene escluso, con effetti speciali artigianali dove Stivaletti, si sbizzarrisce e il corpo del pugile diventa una sorta di manichino anatomico nelle mani del canaro.
Rabbia furiosa, può piacere o meno, però di una cosa sono sicurissimo: rimarrà nella mente dello spettatore.


THE TOWN THAT DREADED SUNDOWN - IL REMAKE DEL FILM CULT





THE TOWN THAT DREADED SUNDOWN (2014)





The town that dreaded sundown del 1976  diretto da Charles B. Pierce è ancora inedito in Italia ma recuperabile in inglese nel combo dvd- blu ray della Eureka classics.
Il film ebbe una discreta fortuna nel circuito dei drive-in, assumendo quasi uno stato di pellicola di culto, rimanendo comunque un discreto thriller con una regia statica, e recitazioni discrete, senza comunque nessun guizzo o trovata degna di nota.
Nel 2014 il regista Alfonso Gomez- Rejon, con la produzione della Blumhouse, decise di farne un remake, partendo proprio dall’immaginario della pellicola originale, ovvero un gruppo di ragazzi che assistono alla proiezione del film originale, in un drive- in americano.
Immediatamente, da un gioco meta cinematografico, ci trasportiamo nella brutale realtà, con due ragazzi che si appartano e vengono catturati dal killer del film originale Phantom.
Quello che balza subito agli occhi, è lo stile completamente diverso sotto tutti gli aspetti, assumendo quasi la forma di un finto remake, ovvero capiamo subito che il plot narrativo è diverso: un pazzo è ossessionato dal film originale, e assume le fattezze del phantom, concentrandosi sulle coppiette .
Altra differenza è la regia: se nel film originale contrastava tra lo sporco in stile grindhouse e una staticità televisiva, qua invece vengono utilizzati colori molto saturi, rosso, giallo, con una predilezione per gli squarci di sole che entrano nelle abitazioni, oltre che a diversi virtuosismi davvero ben riusciti (scena nel bosco per esempio).
Diventa ben presto una sorta di a-b-c con tutti gli stilemi classici dello slasher, che non possono far altro che guadagnare punti al film remake e mandare in visibilio il patito del genere.
Inoltre se nel film originale, assistevamo ad una pellicola con una violenza mostrata di rado, quasi tutto in secondo piano, facendo perno sull’atmosfera e sulla tensione, in questo remake, invece è un autentico bagno di sangue, con gole lacerate, corpi divisi a metà, ferite mostrate in primissimo piano, tutto con effetti speciali artigianali senza computer grafica e davvero ben fatti.
Buone le recitazioni, per un film da riscoprire assolutamente e che vi garantirà un ora e mezzo di totale divertimento.


lunedì 13 maggio 2019

Ted Bundy- fascino criminale

       



TED BUNDY
FASCINO CRIMINALE




Film del 2019 diretto da Joe Berlinger, e che vede riportare sullo schermo il famigerato serial killer americano Ted Bundy.
Chi era Ted Bundy? Semplicemente uno dei serial killer più brutali ed enigmatici della storia americano.
Bello, affascinante, istruito, incarnava alla perfezione il dualismo bene- male insito nell’animo umano.
Pur avendo una famiglia, inserito nella comunità americana, aveva scelto la vocazione del male, dell’omicidio, circuendo giovani ragazze, facendo perno appunto sul proprio fascino, per poi violentarle ed ammazzarle in vari stati americani.
Nel cinema, è stato portato sullo schermo diverse volte, in film molto fedeli alla sua storia, senza particolari licenze narrative, e anche in questo caso il regista decide di attenersi alla storia reale, facendo perno più che altro sui risvolti processuali, e anche sul rapporto con la compagna del serial killer, che piano piano si rende conto di aver vissuto insieme ad un mostro.



Zac Efron, la cui scelta potrebbe far storcere il naso, visti i precedenti dell’attore in film per tutta la famiglia, è semplicemente straordinario, perfettamente a suo agio in un ruolo ambiguo, scomodo, ma anche tutti gli altri attori sono molto validi.
La regia è semplice, senza particolari guizzi e inventive stilistiche, ma funziona, mentre la musica di Marco Beltrami è perfetta in tutte le fasi del film.
Ted Bundy- fascino criminale, è un film per tutti, la scelta registica è quella di non affondare mai il colpo, di non insistere mai sui particolari degli omicidi, ma di lasciare tutto fuori campo (ad eccezione di una foto, in un eccesso gore abbastanza marcato), appunto concentrandosi di più sul Bundy-istrione durante il processo.
Devo dire, che comunque il film non ne risente, ma funziona molto bene, intrattenendo e facendo riflettere lo spettatore per un oretta e cinquanta.






venerdì 10 maggio 2019

Pet Sematary- remake inutile?




PET SEMATARY
FLOP O BUON REMAKE?




Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito al saccheggio di pellicole giapponesi, rifatte dagli americani in maniera spesso discutibile, e ai vari remake di classici horror anni ottanta- novanta, dove a volte come nel caso di Maniac di  Franck  Khalfoun ma realizzato con la preziosissima collaborazione di Alexandre Aja, è stato tirato fuori un gioiellino.
Mancava appunto a questa lista, il bellissimo film di Mary Lambert del  1989 .
Sono particolarmente affezionato a questo film, per svariati motivi, ovvero il libro da cui è stato tratto è il primissimo romanzo che ho letto di Stephen King (Edgar Allan Poe lo scoprii poco dopo, in un libro della Bompiani, con la prefazione di Dario Argento).
Ricordo tutto di quel giorno, avrò avuto dieci anni, eravamo andati a fare un giro alla Standa a Massa con mia mamma, mi impuntati che volevo la vhs del film Dick Tracy con Warren Beatty, costo 29.900 lire, mentre mia mamma, che mi spingeva sempre alla lettura, mi disse che mi avrebbe comprato un libro.
La mia fortuna fu che non conosceva l’inglese, quindi per lei Pet Sematary edizione Sperling e Kupfer con un gatto in copertina, era un innocente libro.
L’altro motivo di affetto verso il film della Lambert, furono i brividi di paura che in soli due minuti riusciva a regalarmi.
Ovvero, durante il trailer che italia 1 e canale 5 puntualmente mandava in onda, e vi giuro mi faceva veramente paura, anche in scene innocue come quella del funerale con Stephen King vestito da prete.
Il film che all’epoca era vietato ai minori di anni diciotto, lo recuperai durante la classica notte horror su italia 1.
Ma passiamo a questo remake diretto da Kevin Kolsch e Dennis Widmier, dove ovviamente i fatti sono i medesimi: una famiglia si trasferisce in un paese della provincia americana.
Lui è il nuovo dottore del paese, e fa immediatamente amicizia col vecchio vicino di casa, che gli rivela che nelle vicinanze del bosco, c’è un vecchio cimitero indiano, dove gli animali seppelliti, ritornano ma con un'altra anima.
Uno degli stilemi classici del cinema horror: il morto che ritorna sotto altre sembianze, un moderno zombi.
Quello che balza immediatamente agli occhi di questo remake, è la pregevole colonna sonora, a tratti veramente raggelante, composta da stridii, rumori, interamente orchestrale, dove anche le parti più d’atmosfera funzionano comunque alla grande.
Per il resto per la prima ora, assistiamo sconsolati ad una copia carbone del film originale, a parte una piccolissima divergenza, di poco conto.
Ma quando esplode il film, iniziano le divergenze, cosa particolarmente gradita, compreso il finale.
Qual è la differenza sostanziale? L’atmosfera, ovvero se nel film della Lambert, il film era angosciante, cupo, cattivissimo, al limite del sadismo puro, questo film invece è un classicissimo horror usa e getta, che non raggiunge mai livelli di cattiveria come del resto era il libro originale.
Mentre a livello tecnico, non si può contestare niente, ovvero una buona regia, a suo agio in tutte le fasi del film, un ottima fotografia anche nel notturno, ottimi effetti speciali tutti artigianali per fortuna e recitazioni convincenti, oltre ad una superba colonna sonora come detto precedente.
Ma per il resto, lo inserisco tranquillamente in quei remake che si possono lasciar perdere tranquillamente.




sabato 4 maggio 2019

Red Room


RED ROOM




Film inedito in italia e poco conosciuto del regista americano Stephen Gaffney.
L’ho comprato recentemente, scambiandolo erroneamente per l’omonimo film torture giapponese.
Devo dire, che è stata comunque una piacevole sorpresa.
Già dai titoli di testa, si capisce perfettamente che non siamo davanti ad un semplice prodotto indie americano.
Luci sparate al neon, il rosso che prevale, psichedeliche, sembra l’inizio di un film di Gaspar Noè o di Refn.. ma ovviamente non è così.
La trama saccheggia i film hostel di Eli Roth e in particolare la trovata geniale nel secondo delle aste dei ricconi per accaparrarsi la preda da torturare.
Il tutto avverrà in una red room, una stanza dove è possibile fare tutto alla propria vittima, trasformandosi in un sadico carnefice e potendo scegliere l’arma che preferisce, quindi spaziamo dalla motosega alla pistola, al coltello, martello e tutto un campionario di cose che attirano lo spettatore medio.
Come detto precedentemente, ci troviamo davanti ad un prodotto ben curato sotto tutti gli aspetti, dalla regia, alle recitazioni, mantenendo una certa patina mescolato ad una sporcizia veramente estrema, come del resto deve essere visti i contenuti snuff del film.
Gli effetti speciali sono artigianali e ben curati e almeno tre scene colpiscono veramente lo spettatore, sfociando nel gore estremo o nella piena scorrettezza coinvolgendo bambini.
Consigliatissimo.





venerdì 19 aprile 2019

NIGHTMARE CINEMA- MICK GARRIS CI RIPROVA CON UN HORROR ANTOLOGICO


NIGHTMARE CINEMA





Il regista americano Mick Garris, dopo gli esperimenti con le due stagioni dei Masters of Horror e la poco felice esperienza con Fear Itself, ci riprova nuovamente con un altro film antologico, radunando tre registi non troppo conosciuti e un grandissimo come Joe Dante.
Le regole sono sempre le solite, ovvero non pensare ad eventuali problemi di censura, e cercare di esprimere l’amore verso il cinema horror, con storie indipendenti l’una dall’altra, ma racchiusi da una cornice comune.
Il plot narrativo di questo film, è quanto di più semplice possibile, ma nello stesso tempo quello che più piacerà allo spettatore medio di horror, ovvero la sala cinematografica.
Ogni protagonista di ogni singolo episodio, si troverà a dover passare di fronte al cinema Rialto, e mosso da una strana sensazione, dovrà entrare ed assistere all’episodio, dove sarà il protagonista, sotto la guida del proiezionista interpretato da Mickey Rourke.



Il primo episodio The thing in the woods è diretto dal giovane talento cubano Alejandro Brugues, già autore del pregevole lungometraggio Juan of the dead.
Il segmento, sembra un puro divertissement totalmente slasher: una ragazza che corre nel bosco, una minaccia con un villain alquanto improbabile (il saldatore), un cottage e tantissimo sangue che scorre, mixato con tante risate (scena del rallenty ecc..).
Verso la fine, troviamo uno stravolgimento narrativo, che ci può stare benissimo, però gli insetti in animatronic sinceramente non mi hanno convinto quasi per niente, che posso capire essere omaggi ad un cinema da drive-in, però in ogni caso stonano con gli effetti artigianali, realizzati molto bene.
Proseguiamo con il “fuoriclasse” dei registi coinvolti nel progetto, ovvero Joe Dante, e ci spostiamo in una clinica per ritocchi estetici, nella più classica delle storie, ovvero una giovane ragazza, con evidenti cicatrici sul volto, che spinta dal futuro marito, si sottoporrà a varie operazioni, per migliorarsi.
La struttura narrativa è molto banale, ovvero sappiamo già tutto dall’inizio quello che succederà, e così infatti è.



Joe Dante, sembra svolgere il suo compitino, in maniera diligente, ma senza la sua caratteristica enfasi, il segmento scorre via senza nessuna voglia di andarlo a rivedere.
Mashit di Ryuhey Kitamura, forse è il pezzo che ero più curioso di vedere. Il regista fa parte di quella scuola di eccessi orientale che a me piace parecchio, ed ha precedentemente realizzato perle come Versus e Downrage.
La mia domanda era semplice: ovvero come avrebbe potuto coesistere il suo cinema fatto di budella, viscere, sangue, tipicamente orientale con registi europei con un'altra visione di cinema.
Si sarebbe rischiato un altro caso come per Imprint di Takashi Miike nei masters of horror.
Kitamura, se la cava bene, e anche in maniera un pochino ruffiana, ovvero i primi dieci minuti del segmento, scorrono in maniera tradizionale, con una storia di possessione demoniaca ambientata in un dormitorio.
La scena di sesso tra il cardinale e la novizia, è il campanello d’allarme che Kitamura ha deciso di essere se stesso, e quindi arriva la classica bombardata in pieno stile Japan, con effetti splatter, demoni (con evidente citazione dal film di Lamberto Bava) e senza prendersi troppo sul serio, regalando sicuro divertimento allo spettatore.
This way to egress è il penultimo pezzo, diretto da David Slade già regista di 30 giorni di buio, che considero un ottimo film, anche se a tanti non è piaciuto.
Non avrei investito un centesimo su questo regista, e invece è l’unico che mi ha regalato qualche brivido e tanta inquietudine.
Una madre insieme a due bambini, aspetta impaziente per una visita da uno psicologo, improvvisamente sembra vedere cose assurde che altri intorno a lei non riescono a vedere.
Il segmento è avvolto in un bianco e nero, dai contorni seppia, che conferiscono grazie all’utilizzo di una colonna sonora composta da suoni, riverberi, un atmosfera raggelante.
La trama è enigmatica, contorta, e si conclude senza darci troppe risposte, forse avrebbe funzionato di più come lungometraggio, perché gli spunti sono parecchi e racchiuderli in venti minuti a mio modo di vedere, sono abbastanza sprecati.
Ottima, l’intuizione di girare in bianco e nero.
La nota stonata, purtroppo arriva con l’ultimo segmento girato dallo stesso Garris, ovvero Dead, la storia di un bambino sopravvissuto ad una rapina, e che si risveglia in un ospedale, dove riesce a vedere le persone morte.
Una storia banale, ma che poteva essere sviluppata in una maniera decisamente migliore, ma invece Garris sembra allungare all’infinito il brodo per raggiungere il minutaggio che serviva, ma in maniera lenta e noiosa all’inverosimile.
Nightmare cinema è stato presentato in anteprima italiana, al Lucca film festival, in occasione del premio alla carriera allo stesso Mick Garris e Joe Dante.
Risulta alla fine essere un film ad episodi gradevole, divertente e che considero riuscito in parte, ovvero conferma che è quasi impossibile realizzare un film collettivo, senza avere delle note stonate al proprio interno e con registi dallo stile così differente, ovvero Garris e Dante che appartengono alla vecchia guardia, Slade che è una via di mezzo, mentre Brugues e Kitamura sono alfieri di un new horror, portato all’eccesso.
Da rivedere assolutamente la scelta di Mickey Rourke come proiezionista del cinema, totalmente inadeguato sia nell’aspetto, ovvero giubbotto di pelle a petto nudo stile biker e anche nella recitazione.


https://www.youtube.com/watch?v=EZuTa9Qftz0

giovedì 18 aprile 2019





LA LLORONA- LE LACRIME DI SANGUE





Film horror del 2019, diretto da Michael Chaves al suo debutto e presentato in anteprima nazionale al Lucca film festival con diverse iniziative molto simpatiche. Mentre l’uscita nelle sale, è stata mercoledi 17 aprile, con un ottima distribuzione anche in cinema classici non legati a multisale.
Il trailer è fatto in maniera molto accattivante, d’impatto e creando un forte hype nello spettatore.
La trama ruota intorno ad una maledizione, appunto della Llorona, una sorta di Medea, che tradita dal suo compagno, per vendetta uccide le loro figlie annegandole in un laghetto e poi finisce straziata dal senso di colpa.
Lo snodo della pellicola, si basa essenzialmente sull’evocazione del demone, collegato ad un assistente sociale, costretta a togliere l’affido dei figli ad una donna.
Una trama abbastanza semplice, sviluppata nella più classica delle maniere: ovvero la caratterizzazione del demone, lo sviluppo narrativo, tutto comunque in maniera elementare, senza nessun guizzo né inventiva anche a livello registico.
E la banalità purtroppo regna sovrana, dall’inizio alla fine del film, che nella sua durata classica di un oretta e mezza ammorba lo spettatore catapultandolo nella noia più assoluta.
La llorona è un campionario di horror contemporaneo, o meglio di tutti i clichè più abusati e inutili che vengono utilizzati per rendere un film sbagliato, e adatto ad un pubblico di ragazzini urlanti sotto i dodici anni.
Jumpscare ultra- telefonati (la scena della piscina con l’ombrello è la più ridicola), la costruzione del demone è in digitale e anche con effetti ridicoli, e tutta una serie di errori marchiani che proprio fanno incazzare, facendomi rimpiangere film pessimi come Possession di  Ole Bornedal dove perlomeno qualche scena violenta d’impatto si poteva  trovare.
Per esempio, un film dalle tematiche simili era Il segnato, ovvero il quinto capitolo dei Paranormal activity. Perché il segnato funzionava?  Perché a seguito di una regia elementare, il film NON si prendeva mai sul serio, era divertente, ultra- tamarro con alcune scene che ti facevano veramente divertire come per esempio l’attacco delle streghe, mentre La Llorona ha una patina seriosa, che fa veramente girare le palle.
E tanto per raschiare il fondo del barile, vi dico solo che questo film è pure collegato col primo Annabelle, altra super ciofeca.
The Nun, lo considerai il film horror più brutto e sgangherato del 2018, dubito che nel 2019 qualcuno possa fare peggio della llorona .
Risparmiate i soldi del biglietto….

https://www.youtube.com/watch?v=PuTUnqUoijc

mercoledì 17 aprile 2019

KHALIMBU DI NICOLA PEGG




KHALIMBU




Khalimbu è il nuovo cortometraggio horror del giovane regista Nicola Pegg, e tra le persone coinvolte troviamo diversi nomi conosciuti nell’ambiente del cinema indie italiano ovvero il bravissimo attore David White, il regista Davide Pesca, in questo caso responsabile degli effetti speciali (quando vedo il nome di Pesca, agli effetti, so già che mi divertirò come un pazzo vedendo il film..), e Massimo Bezzati nel ruolo di produttore insieme allo stesso regista Pegg.
Una ragazza corre sulla spiaggia, e trova nascosto sotto la sabbia, un vecchio libro con parole incise in arabo.
Affascinata ed incuriosita, lo consegna ad un suo vecchio professore di Lettere, per sapere di più su questo ritrovamento.
Dal ritrovamento del libro, si snoda tutto l’intreccio del cortometraggio, ovviamente il riferimento più immediato è chiaramente il Necronomicon di Lovecraft.
Il cortometraggio della durata di diciannove minuti, ha tutti i requisiti per essere apprezzato dagli amanti dell’horror, e in particolare degli anni ottanta: una trama veramente semplice, ma tremendamente efficace, una colonna sonora strumentale fatta da riverberi, suoni, molto pertinenti con la natura del film.
Ottimi effetti speciali, altamente gore, realizzati appunto da Davide Pesca, che ormai è diventato una sicurezza per chi ama ancora gli effetti artigianali come si facevano un tempo, e questo è anche un consiglio spassionato per chi vuole realizzare qualcosa in ambito horror: usate meno effetti in digitale e affidatevi a veri effettisti.
La regia è molto curata, e si mantiene su buonissimi livelli per tutta la durata di Khalimbu, bellissimo lo scorcio iniziale del mare.
David White, veramente in parte, ottimo attore, mentre l’attrice protagonista Caterina Cioli Puviani, a mio modo di vedere, nonostante la bella presenza, risente di una dizione da rivedere, e anche nelle scene con maggiore tensione non riesce a dare quel pathos che servirebbe per rendere maggiormente credibile il proprio personaggio.
In ogni caso, Khalimbu sono sicuro che darà parecchie soddisfazioni al regista Nicola Pegg.