mercoledì 29 marzo 2017

LIFE
NON OLTREPASSARE IL LIMITE



Pellicola del 2017, diretta da Daniel Espinosa, già regista di uno dei film che più mi ha fatto sbadigliare al cinema, ovvero child 44.
In ambito fantascienza, sicuramente possiamo stabilire con certezza, che dal 2000 in poi abbiamo potuto vedere ottime pellicole, come Moon, Inception, Interstellar, Gravity, ma anche Astronaut the last push, distribuito solo in home video, senza passare dalle sale cinematografiche.
Life si colloca in quel filone fanta-horror, visto e rivisto tante volte, e dove i capostipiti sono Terrore nello spazio di Mario Bava e Alien di Ridley Scott, senza voler scomodare le pellicole di fantascienza degli anni cinquanta.
La trama quindi è la solita, senza digressioni psicologiche e senza voler cercare l’incastro narrativo a tutti i costi.
Un team composto da astronauti di diversa nazionalità, recupera una sonda spaziale con annessa presenza extraterrestre.
Ben presto, si rivelerà essere ostile e aggressivo all’inverosimile, facendo strage dell’equipaggio.
C’è da dire che questi film compreso il riuscito Punto di non ritorno (Event horizon), hanno sempre fatto breccia dentro di me, trasportandomi in mondi ignoti e fantastici.
Life, funziona perfettamente, ottima regia, ottima fotografia e recitazioni riuscite con attori in parte.
La colonna sonora interamente strumentale, accompagna benissimo le immagini, senza sovrastare l’azione.
Superbo il sound design del film, mentre la nota dolente è quando il regista vuole eccedere, e spingere sul versante drammatico della pellicola, cercando di approfondire la psicologia dei personaggi mettendoli alla prova con la sopravvivenza.
Tentativo, veramente poco approfondito e che a mio modo di vedere, cozza violentemente con il taglio precedentemente dato al film e che funzionava a meraviglia.
In ogni caso, si tratta di un film riuscito e che consiglio tranquillamente.
Trailer ufficiale https://www.youtube.com/watch?v=9Hmi3hJulEM

Federico Tadolini

mercoledì 22 marzo 2017

THE AUTOPSY OF JANE DOE




A sorpresa arriva nei cinema italiani questo chiacchieratissimo film di Andre Ovredal, già regista del riuscito Troll hunter.
Nella prima settimana di programmazione, autopsy of Jane Doe viene programmato solo nei circuiti uci cinema, mentre dalla seconda settimana ha avuto una distribuzione più regolare.
E sicuramente ne è valsa la pena.
Negli Stati Uniti, ad una persona senza identità accertata viene dato il nome John Doe, o appunto Jane Doe.
E la struttura narrativa del film, parte col ritrovamento del cadavere di una giovane ragazza, completamente nuda e senza identità.
Il risvolto da crime film, viene ribaltato per poi sprofondare nel filone horror movie con numerosi colpi di scena, tutti sicuramente ben riusciti.
La location è una claustrofobica sala di autopsie sotterranea dove i protagonisti sono padre e figlio, alle prese con l’orrore che diventa ben presto reale.
Ci sono numerosi elementi orrorifici che impressioneranno lo spettatore, sia con elementi di suspense con i classici salti sulla sedia, sia con immagini di forte impatto come l’autopsia della ragazza, dove non ci viene risparmiato niente.
Autopsy è un film curato sotto tutti gli aspetti, compresa la sceneggiatura, e risulterà un vero e proprio toccasana per lo spettatore.
Sicuramente non è un film per tutti, alcune immagini possono disturbare.
Il regista riesce avvalendosi anche di una musica parecchio indovinata a incutere paura nello spettatore.

Federico Tadolini
NIGHT SWIM





Cortometraggio del 2014 scritto e diretto a quattro mani da Rod Blackhurst e Bryce James McGuire, della durata di poco più di tre minuti.
La scelta registica è quella di realizzare un lavoro in pochissimi minuti, ma di sfruttarli tutti adeguatamente.
E direi che ci sono riusciti perfettamente, giocando con i contrasti.
Quindi: atmosfera rilassante, una bellissima ragazza nuota nella piscina in giardino, musica jazz di sottofondo, presenza del suo gatto, tutto sembra filare per il verso giusto.
La ragazza scende sott’acqua e le sembra di scorgere una figura umana che la sta osservando a bordo della piscina.
Da questo momento, il cortometraggio prende decisamente un’altra piega, i colori si fanno più scuri, notturni abbandonando il celeste iniziale, la musica si fa cupa e ben presto capiremo l’entità della presenza.
A differenza di alone time, con night swim ci spostiamo nella deriva dell’horror puro, con una presenza dell’entità ben caratterizzata e che ha sempre il suo fascino, un pochino derivativa dagli horror giapponesi.
Superba la regia, con diversi virtuosismi degni di nota, come nella sequenza iniziale e ben studiata la fotografia e la colonna sonora.
Anche in questo caso Night swim, fa perno principalmente sulla tensione e cerca di mettere a disagio lo spettatore con le proprie paure come se fosse una sorta di home invasion mescolato con lo slasher movie, per poi appunto prendere la deriva horror, ben studiata e che funziona perfettamente.
Visibile gratuitamente su youtube e vimeo


https://www.youtube.com/watch?v=R5mPELbWVDk

                                                                                                            Federico Tadolini


ALONE TIME




Cortometraggio del 2013 girato da Rod Blackhurst, della durata di poco più di dodici minuti.
La trama è abbastanza semplice: una giovanissima segretaria, stressata dalla vita quotidiana e dal lavoro sedentario seduta ad una scrivania, decide di andare in una zona naturale, per fare del campeggio e riscoprire la libertà.
Ci sono appunto cortometraggi che puntano molto sull’impatto visivo e altri che invece puntano sulla suspense e sulla tensione.
Alone time appartiene agli ultimi citati: un lavoro veramente superbo, dove senza far vedere niente di violento,  di particolarmente inquietante, riesce sempre a mettere a disagio lo spettatore.
Splendidamente descritta la vita della protagonista, con l’utilizzo della macchina da presa che ci illustra lo squallore e la solitudine che avvolge la bella ragazza.
Blackhurst gioca con i generi e principalmente con lo slasher.
Alone time, lo classificherei tranquillamente come uno slasher atipico: ci sono tutti gli ingredienti di questo sottogenere, la ragazza indifesa vittima ideale, la zona boschiva isolata dove lei cammina e la camera la riprende da dietro i cespugli, come se fosse l’occhio del killer che spia la vittima.
Il lago, che rimane sempre inquietante e appunto il campeggio, cose viste e riviste, ma appunto Alone time è stato concepito e realizzato in maniera intelligentissima.
Tutto funziona al meglio: la regia, la bellissima fotografia degli spazi naturali, la musica sempre presente ad accompagnare le immagini, la recitazione e soprattutto un colpo di scena finale che non si dimentica facilmente.

Ottimo, e visibile gratuitamente su youtube e vimeo.

https://www.youtube.com/watch?v=pUkXIgBHk8Q&t=101s

                                                                                                          Federico Tadolini

martedì 21 marzo 2017

IL MORSO DELLO SCIACALLO






Il morso dello sciacallo è l’ultimo romanzo di Paolo Di Orazio (già presente in questo blog con una brevissima intervista e con la recensione di Debbi la strana).
Di Orazio dal mio punto di vista, rappresenta al meglio il proverbio: nessuno può essere profeta in patria.
Già perché lo scrittore che ha ricevuto anche il premio Polidori, le sue soddisfazioni se l’è tolte, però ha raccolto sicuramente molto meno di quello che ha seminato.
Una carriera molto poliedrica, da artista puro e da appassionato del genere horror, come dimenticarsi i fumetti di Splatter, Mostri (Acme edizioni), che diedero il là ad una vera e propria ondata di uscite nelle edicole come Bloob, Gore Scanners che presero molto spunto, dalle creazioni del team di Paolo.
Primi delitti, che portò in Italia quella corrente letteraria che amo così tanto, ovvero lo splatterpunk.
L’indagine parlamentare che ne seguì, si può inserire tranquillamente nella scarsa comprensione dei testi e nella mancanza di ironia da parte di molti cazzoni in giacca e cravatta.
L’ironia: una delle componenti fondamentali della produzione letteraria di Paolo Di Orazio, cosa che lo contraddistingue anche nella sua vita privata.




Il morso dello sciacallo è un libro molto visivo, l’ho letto e l’ho vissuto come fosse stato un film, mi immaginavo i volti dei personaggi, i luoghi dei delitti e anche le modalità con cui avrei potuto realizzare gli omicidi, servendomi dell’ausilio di qualche esperto di effetti speciali.
L’ambientazione è Roma, una città notturna, sporca, piena zeppa di vicoli, di boschi dove i disperati come tossici, prostitute e papponi, tirano a campare tra mille espedienti.
Ma soprattutto dove tutti gli scontenti, possono regredire e provare il brivido della trasgressione di scopare con un trans o una prostituta minorenne.
Come contrapposizione a questi disadattati, si staglia sulla città l’inquietante presenza di Afareen un piccolo bambino prodigio e il suo manager Murnau, pronti a conquistare il pubblico e a succhiare l’innocenza ai giovani seguaci del nuovo fenomeno del web.
Il morso dello sciacallo, consiste in poco più di trecento pagine, molto scorrevoli e contiene tutte le caratteristiche del modo di scrivere di Paolo Di Orazio:  violenza estrema descritta nei minimi particolari (alcuni omicidi sono veramente forti), ironia ed eleganza formale.
Perché lui sa scrivere e come tutti i bravi scrittori, renderebbe interessante anche la lista della spesa.
Un’altra cosa che mi ha particolarmente colpito è il riuscire a non scadere mai nella volgarità.
In questo libro, sono presenti diverse scene di sesso estremo, descrizioni di fluidi corporei, piercing genitali, e altri espedienti tipici dello splatterpunk, eppure si legge che è un vero piacere.
I personaggi sono tutti ben caratterizzati, caricaturali ed eccessivi anche nei gesti più quotidiani come mangiare delle polpette cucinate dalla mamma.
La superba caratterizzazione, permette allo scrittore di poter usufruire dei suoi interpreti ogni volta che vuole all’interno del romanzo, tanto rimarranno scolpiti nella mente del lettore.


Federico Tadolini

venerdì 17 marzo 2017



NIGHT OF THE SLASHER



Cortometraggio del 2015 del regista Shant Hamassian della durata di poco più di undici minuti.
Il film inizia in modo alquanto singolare: primo piano di un fondoschiena femminile, la ragazza accende lo stereo e inizia a spogliarsi al ritmo della musica.
Suonano alla porta, un amico e quindi inizia a bere in maniera forsennata della birra per poi flirtare con lui.
Improvvisamente la ragazza prende un taccuino dove sono inserite le regole per il film horror e più precisamente per lo slasher movie.
1-    Ballare mezza nuda
2-    Bere birra
3-    Assumere droga
4-    Fare sesso.
Tutte regole che il buon Wes Craven ci aveva già illustrato nel capolavoro di Scream.
Dopo che i rituali sono completati, irrompe il killer con una stranissima maschera di gomma, perfettamente in regola con i film anni ottanta che inizia il suo gioco al massacro.
La final girl ingaggia quindi una durissima lotta con lui, non risparmiando sangue e sudore.
Il cortometraggio è quanto di più riuscito, si possa trovare in ambito indipendente, realizzato veramente nella migliore delle maniere.
Poco budget, tantissime idee, magari semplici ma sfruttate al massimo.
Geniale, la trovata finale, recitazioni veramente superbe e colonna sonora che si adatta benissimo a quello che vediamo.
Un vero e proprio toccasana, che farà sicuramente divertire tutti gli appassionati del genere.
Visibile su vimeo.
https://vimeo.com/127454533

voto: 10/10 ( e complimenti al regista)
FEDERICO TADOLINI


THE RING 3





Torna nei cinema, dopo il secondo capitolo del 2005, la saga che diede il là ai vari remake americani di classici del genere giapponesi.
Innanzitutto c’è da dire che mai gli americani, hanno voluto fare il classico remake copia e incolla delle pellicole giapponesi, perché la suspense e il loro classico modo di far paura allo spettatore è sempre mancato.
Anche questo the ring 3 non si discosta minimamente dai film precedenti: interpreti teen,, regia che più semplice non c’è, musica essenziale, la classica durata di un’ora e mezza e così via.
Quindi si tratta di un prodotto ben confezionato e impacchettato per un pubblico sotto i quattordici anni, ragazzetti che vanno al cinema la domenica pomeriggio con coca cola e pop corn.
I primi trenta minuti funzionano anche: il personaggio maschile deve trasferirsi in un campus, lasciando quindi la sua bella compagna da sola.
Improvvisamente sparisce e quindi compare il video di Samara.
La cosa più interessante di tutto il film è proprio il video in questione: inquietante al punto giusto, per il resto gli omicidi sono tutti realizzati per avere il visto censura per tutti.
Zero sangue, zero gore.
Le recitazioni funzionano, perfettamente inserite in questo contesto di film.
Quindi consiglio The ring 3 solo ed esclusivamente agli appassionati del genere e a quei malati di mente come me che vanno a vedere ogni film horror che esce nei cinema.
Per essere una prima visione, ieri è stato un record negativo di affluenza.


Federico Tadolini

giovedì 9 marzo 2017


                                                      GIULIO CIANCAMERLA






1-    Parlaci di te e del tuo background cinematografico
Io nasco (e rimango) appassionato di cinema, letteratura e musica in modo compulsivo. È stato così fin dall'infanzia, quando smanettavo col primo videoregistratore e leggevo più o meno di nascosto i libri di Stephen King. Durante l'adolescenza ho realizzato i tipici corti “no-budget” che montavo direttamente in VHS e che cercavo di far proiettare un po' in giro. A un certo punto ho capito la differenza tra arte e mestiere e ho messo da parte la videocamera e i sogni di gloria per fare dieci anni di gavetta. Ho lavorato come operatore e montatore per delle piccole tv private per poi iniziare a propormi come assistente e aiuto regia, sempre in progetti indipendenti. Per scelta mia e di altri. Posso dire che non conosco i set del “cinema vero”, quelli dove il regista ha la sedia col suo nome e tutti gli apparati scenografici. E per il momento mi sta bene così. In quegli anni di prime esperienze, folgorato sulla via del punk, con alcun* “partner in crime” ho aperto una micro etichetta-distribuzione di fanzine e musica rumorosa di vario genere, che abbiamo portato avanti a intermittenza dal 2004 ad oggi. Questo ha contribuito a consolidare un background fatto di stimoli diversi e l'interesse per i mondi alternativi alla realtà codificata dal buonsenso.

2-    Da dove è nata l’idea di Undercover mistress?
Lucio Massa, produttore indipendente che avevo conosciuto sul set di Hippocampus m 21th, finite le riprese del successivo Violent Shit – The Movie di Luigi Pastore, mi ha chiesto se me la sentivo di dirigere un corto. Dopo dieci anni di lavori alimentari, di promo rimasti a metà e di ruoli da assistente, non aspettavo altro. Lucio mi ha parlato di un suo soggetto che parlava di BDSM e ritualità, io gli ho proposto una storia sulla decostruzione della vendetta “rape & revenge” e sullo slittamento delle identità di genere. Abbiamo pensato che c'erano degli elementi in comune, soprattutto il concetto di performance che riguarda tanto il ruolo della mistress quanto il “gender”, così abbiamo scritto un trattamento fondendo i nostri soggetti. Vista la comune passione per il cinema horror e bizzarro, il principio base è stato usare le forme del “genere” per trattare il contenuto delle “identità di genere”. Sia io che Lucio già pensavamo agli attori/performer che sono stati coinvolti, quindi è stato naturale discutere con loro tutte le sfumature della storia, soprattutto gli aspetti più spinosi, prima di chiudere la sceneggiatura.






3-    Quali sono state le principali difficoltà per la realizzazione di questo cortometraggio?
Come in ogni lavoro low-budget le difficoltà sono state di tipo pratico: abbiamo fatto cinque giornate di riprese spalmate in tre mesi e per chiudere la post-produzione c'è voluto quasi un anno. Abbiamo voluto seguire ogni aspetto al massimo delle nostre possibilità ed eravamo consapevoli della dilatazione dei tempi. Dalla nostra abbiamo avuto la massima disponibilità da parte del cast, della troupe e di supporters che ci hanno aiutato in vario modo.

4-    Hai incontrato problematiche relative alla censura durante il percorso del film?
Non voglio assumere pose da maledettismo, che non interessa a nessuno di noi, ma nel concreto in Italia abbiamo incontrato un muro di silenzio. Se siamo arrivati a 40 selezioni ufficiali nel resto del mondo, qui, esclusi L'Aquila Horror Film Festival e l'Underground Film Festival delle Marche, non abbiamo ricevuto riscontri di nessun tipo. Non parlo dei grandi festival istituzionali ma di quelli indipendenti, underground, horror, queer, legati ai movimenti sociali e culturali o alla sessualità in genere che abbiamo meticolosamente contattato. Sono perfettamente consapevole dei limiti tecnici di un progetto indipendente come il nostro, della tematica ostica e dell'approccio provocatorio che di certo non aiuta ma ci aspettavamo qualche input in più. Magari anche delle stroncature. Quindi non saprei se definirla censura o disinteresse. Inoltre ci sono state delle reazioni negative da parte di chi ha voluto leggere nel corto un elogio dello stupro come vendetta e un punto di vista sessista viziato dal mio essere “maschio-bianco-eterosessuale”. Per fortuna si è trattato di una minoranza, per fare un esempio come al Berlin Porn Film Festival, dove, con una sala piena e piacevolmente rumorosa, un gruppo di ragazze ci ha attaccato e ha interrotto la presentazione. Questo è stato l'aspetto più spiacevole perché dopo 15 anni di attivismo di vario tipo e lavoro sotterraneo nella controinformazione, mi aspettavo degli attacchi da fronti reazionari (visto che si parla di gender), e non da persone con cui credevo di condividere delle battaglie culturali. Essere fraintesi insinua il dubbio che stai comunicando male le tue idee ma è il rischio che corrono le storie non lineari con degli elementi che hanno più letture allo stesso tempo. Inoltre, sarà banale, ma oggi si fatica ad accettare la messa in scena del nichilismo e l'assenza di moralità. Ma si sa, questa è una vecchia storia.

5-    Che vita avrà questo cortometraggio?
Abbiamo deciso di tentare la strada dei festival quindi per un anno il corto è rimasto inedito. C'è l'intenzione di fare un dvd zeppo di extra , tra cui qualche vecchio lavoro in versione 2.0. Probabilmente ci sarà una distribuzione online VOD e continueremo a lavorare per proiettare Undercover Mistress in realtà parallele alle sale cinematografiche. Tutte le news si troveranno, inevitabilmente, sulla nostra pagina di quel marchingegno infernale che è Facebook.






UNDERCOVER MISTRESS




Cortometraggio realizzato da Giulio Ciancamerla nel 2016 della durata di tredici minuti e che è sicuramente un lavoro ottimo sotto tutti i punti di vista.
La trama è apparentemente molto semplice: durante una mostra fotografica, un uomo cerca di abbordare una donna.
Lei fugge spaventata, ma ben presto i ruoli si ribalteranno in un vortice di violenza e perversione, niente viene tolto agli occhi dello spettatore, infatti sono sicurissimo che il cortometraggio perlomeno in Italia avrà vita durissima, e che i benpensanti non si accontenteranno del divieto ai minori di diciotto anni.
Quindi il plot narrativo si sviluppa intorno al ruolo vittima- carnefice con ribaltamento di ruolo e con notevole sorpresa finale notevolmente riuscita e che regala al cortometraggio un notevole spessore qualitativo anche dal punto di vista narrativo.
La regia è precisa, così come anche la fotografia molto curata regalando al corto una patina di eleganza formale in netto contrasto con la sporcizia e la violenza delle tematiche proposte.
Il regista Ciancamerla va dritto al sodo, senza togliere il piede dall’acceleratore, nudi integrali, scene di sesso violento, sangue, torture, il tutto grazie anche ai superbi effetti speciali realizzati da David Bracci.
Altra soluzione particolarmente indovinata a mio modo di vedere è la colonna sonora interamente strumentale costituita da suoni, riverberi, rumori che contribuiscono ad accrescere la cattiveria già presente nel film.
Ottime le recitazioni e ho particolarmente apprezzato la totale assenza di dialoghi.
Da notare il cameo della grandissima scrittrice Alda Teodorani e la citazione iniziale dal film The driller killer di Abel Ferrara.
In sostanza, ed è già la seconda volta che mi capita in due settimane non mi rimane che fare i miei più sentiti complimenti al regista Giulio Ciancamerla, a tutto lo staff del film Undercover mistress per quello che sono riusciti a realizzare.


Federico Tadolini

mercoledì 1 marzo 2017


I                            INTERVISTA A FRANCESCO LONGO




1-   Francesco Longo come nasci regista? Quali sono le tue influenze principali?

La passione per la regia l'ho avuta sin da bambino. Vivevo in un paese di duemila anime in Puglia e spesso non c'era nulla da fare, soprattutto durante l'inverno, perciò, trascorrevo molte delle mie giornate in casa a guardare film.

Sin da subito ho apprezzato l'horror, grazie anche alla vasta collezione di VHS del genere posseduta da mio fratello. Così, spesso accadeva che quando ero solo in casa, queste le guardavo di nascosto.

Le mie influenze sono legate sia all'horror passato, che a quello presente. Da ragazzino ho amato Wes Craven,Sam Raimi,John Carpenter,Clive Barker e molti altri.

Devo ammettere però che i film che mi hanno spinto di più a creare horror sono stati: "Nightmare on elm street" (da questo film, infatti, vi sono continui riferimenti ad incubi nei miei corti) e "L'esorcista" (da questo, invece, proviene la mia passione per l'horror demoniaco e soprannaturale).

Recentemente ho apprezzato particolarmente le produzioni di James Wan, ma anche piccoli capolavori come "Le streghe di Salem"di Rob Zombie e "The Witch" dell'esordiente Robert Eggers.


2-   Raccontaci del progetto 17 a mezzanotte
Il progetto “17 a mezzanotte” per me è stata una bella sfida: dovevo riuscire a tirare fuori un corto, da poter far guardare al pubblico dei festival e non solo.
Credo sia stato prodotto in un periodo forse un po' acerbo cinematograficamente parlando, per affrontare un progetto del genere. Il risultato finale all'epoca non mi era dispiaciuto, forse avrei potuto fare meglio,ma è andata così. È stata un'esperienza che mi ha portato a crescere e non mi pento di averne fatto parte.

3-   Quando è nata l’idea della trilogia conclusa con Nyctophobia?


.L'idea nasce dopo una lunga pausa di studi mirati ai visual effects in una scuola online italiana, ma estesi da me medesimo alla regia, fotografia e tecniche di ripresa ed editing.

Così dopo una lunga pausa teorica, mi è venuto in mente di fare un corto psicologico, breve e d'impatto dove poter mettere in pratica gli studi eseguiti.
Mi sono soffermato sul tema delle fobie e delle turbe mentali. La nostra psiche può essere davvero "spaventosa".

"Skiizophrenia", analizza le possibili conseguenze di non poter essere in grado di poter gestire in maniera autonoma la propria coscienza.

Qualcosa o qualcuno ci obbliga a essere ciò che non ci sentiamo di essere, in seguito a deliri e allucinazioni.

Non riuscire a riconoscere ciò che è reale, è davvero un incubo. È un tema molto affascinante.

Altro soggetto, appunto sono le fobie che sono paure esagerate e spesso irrazionali. Queste ci bloccano,ci trasformano non solo la mente, ma anche il nostro corpo, con reazioni incontrollate. Ho voluto analizzare in maniera "soprannaturale" le paure che più mi hanno ossessionato durante l'infanzia.

La claustrofobia: una paura che e' stata presente più che altro nei miei incubi: essere imprigionati e avere l'impressione di poter morire soffocati, magari anche grazie all'aiuto di qualcun altro, correre all'infinito e non trovare mai un'uscita.

La nictofobia, quale bambino non vede il mostro sotto il letto o dentro l'armadio appena spegne la luce? Dare corpo a queste fantasie è stato molto stimolante.

Ne ho parlato dunque al protagonista del corto (protagonista anche del capitolo conclusivo). Così scrissi la sceneggiatura, lo girammo in sei ore filate e infine in un mesetto feci la post produzione.

Il risultato mi soddisfò e fu così che decisi di farlo girare per i festival. Anche se mi ero un po' scoraggiato, dopo qualche critica negativa in patria. Con immenso piacere, arrivarono le prime selezioni: il prestigioso “Fi Pi Li Horror Festival” di Livorno, nel quale per la prima volta vidi di persona un mio cortometraggio sul grande schermo.

Successivamente con mia grande sorpresa: un'ulteriore selezione al “Fantastic Horror Film Festival” di San Diego. Il mio corto fu candidato a tre nomination e vinse come "Best Fantasy Horror"

Allora, compresi che forse avrei potuto fare sempre meglio e pieno di coraggio ho deciso di dare vita alla trilogia.

Il successivo fu "Claustrophobia" con le varie selezioni e i 6 premi vinti (“Best international Film” e “best sound design in a Short “ all'Underground Film Fest di Ancona, Secondo classificato nella categoria “Foreign Short” all'Upstate New York Horror Film Festival, ecc) e poi l'idea del capitolo finale, Nyctophobia



4-   Raccontaci le fasi di realizzazione del tuo cortometraggio Nyctophobia e che futuro avrà?


Sono partito con la pre-produzione subito dopo l'uscita di Claustrophobia. La mia idea era quella di realizzare un prodotto che fosse comprensibile, anche per coloro che non avessero visionato i precedenti episodi, ma che avesse comunque dei punti di contatto con questi.

Siamo partiti a marzo con un crowdfunding, che ci ha aiutato un minimo a coprire le spese di produzione. Il corto è stato girato in cinque giornate per un totale di circa 80 ore di set.

Stavolta, grazie alla collaborazione di Paolo Mercante di SetteFilms, di UrcaTV, di una make up artist d'eccezione ovvero Silvia Rosa e della collaborazione di tecnici esperti sul set: Piero Passaro e Yasas Navaratne.

In post produzione, la talentuosa Aurora Rochez si e' occupata degli effetti sonori e non è stato da meno il fantastico cast (Roberto Ramon, Roberto D'Antona, Michael Segal, Orfeo Orlando, Veronika Urban, Aurora Elli, Giulia Schaaf, Tommaso Preda e Giuseppe la Rocca) che ha saputo dare un' “anima” al corto. L'unione fa la forza!



5-   Fai parte della scena indipendente italiana, parlaci delle tue sensazioni

.Ritengo ci sia materiale molto valido nella scena indipendente italiana. Spesso, mi sono trovato a collaborare a diverse produzioni indipendenti italiane come vfx artist e con veri artisti del calibro di Roberto D'Antona,Michael Segal, Ivan Zuccon, Orfeo Orlando.

Devo ammettere che vfx a parte, a prodotto finito ci si trova di fronte a delle opere che possono competere tranquillamente con molte produzioni cinematografiche e televisive italiane.

Parlando dell'horror, purtroppo in Italia vi è prevenzione verso questo genere. Viene considerato a prescindere di dubbia qualità, sadico o morboso e non "impegnato" e quindi ingiustamente ostacolato.

L'Unica nota dolente del panorama indipendente: spesso vedo che tra registi, attori, produttori vi è un forte astio e invidia, la cosa mi crea un enorme dispiacere. Dovremmo essere un'unica famiglia e sostenerci tra di noi.

Spesso la causa di questi battibecchi è il pregiudizio, come dicevo precedentemente, verso i generi che non si fanno in Italia: fantasy, fantascienza e horror. Per alcuni registi, gli unici accettabili sono: i drammatici e le commedie a scopo preferibilmente pedagogico e i comici intrisi di becera volgarità.
Per questo motivo, il nostro primo lungometraggio “Clara” (attualmente in pre-produzione) abbiamo deciso di girarlo interamente in lingua inglese, per cercare una distribuzione all'estero.




6-   Hai partecipato a diversi festival italiani e anche esteri, quali sono le differenze sia come organizzazione e come pubblico?


In Italia ci sono un po' di festival validi per il genere Horror : tra questi mi sento di citare il "FI PI LI Horror Festival" di Livorno," Il Fantafestival", Il "Tohorror" oltre "all'Underground Film Fest" Di Ancona, nel quale l'horror è ben visto e poi credo ne rimangano pochi altri.

All'estero invece c'è moltissima scelta, soprattutto negli Stati Uniti. Colgo l'occasione di rispondere ad alcuni soggetti, che asseriscono al fatto che negli Stati Uniti basti pagare la tassa d'iscrizione per essere selezionati e successivamente ti fanno vincere. È una squallida bugia.

Personalmente ho partecipato a diversi festival in USA pagando regolarmente la tassa, ma il corto non è stato nemmeno selezionato. Diversamente, spesso vedo cortometraggi selezionati con nomination ricevute, che poi non vincono alcun premio.
In questo caso, ritengo che parlino a vanvera per una ridicola competizione tra artisti indipendenti.
Il pubblico italiano che partecipa ai festival horror non è una nicchia, ma nemmeno particolarmente vasto. All'estero non ho mai assistito finora purtroppo, però dalle recensioni e dalle foto degli eventi vedo una grande affluenza di pubblico. Spero che con gli anni questo succeda anche in patria!