sabato 21 gennaio 2017




                                                                 DON'T BREATHE







Il cinema horror contemporaneo è morto? Oppure viene portato avanti dai soliti nomi che hanno fatto la storia di questo genere? Io non credo proprio, basta allargare gli orizzonti e scoprire i nomi nuovi, quei registi che tentano di dire qualcosa di “originale” senza ricorrere ai soliti espedienti come zombie, serial killer armati di motosega e altri espedienti visti, rivisti e che funzionano catturando il teenager di turno.
Oltre a nomi già consolidati come James Wan (il più tecnico e “regista” di tutti), Rob Zombie (il più visionario e feroce), Alexandre Aja (prenditi di più sul serio Alex che diventeresti il numero 1), Eli Roth (il più cazzone del gruppo), aggiungo alla lista anche Fede Alvarez giunto al suo secondo lungometraggio dopo quell’oggetto misterioso chiamato Evil dead.
Misterioso perché ha letteralmente spaccato in due l’opinione del pubblico: chi lo ama e chi lo odia dal più profondo del cuore.
Io mi colloco nella prima fazione, ovvero quelli che lo hanno amato: spietato, feroce, cattivo sotto tutti i punti di vista. Un vero e proprio bagno di sangue, splatter che si mescola col gore più estremo.
Man in the dark (questo il titolo italiano), è stato presentato in anteprima nazionale il 31 agosto, per poi debuttare sul grande schermo giovedi otto settembre, con una buonissima distribuzione nelle sale cinematografiche.
Sinceramente non approfondisco quasi mai il contenuto della pellicola prima di andare al cinema, ma visiono solamente il trailer che era molto indicativo al riguardo della trama e di cosa ci si poteva aspettare.
Attese per la seconda prova del regista Alvarez? Nella media, avevo intuito l’intelligenza di questo ragazzo già su come aveva affrontato Evil dead, ovvero non svicolarsi dai canoni della saga di Sam Raimi, ma non affrontare tutti gli elementi in toto (vedi non aver inserito il protagonista principale Ash).
E infatti, avevo visto giusto.
TRAMA: tre giovanissimi rapinatori decidono di fare il colpo della vita: ovvero entrare in casa di un vecchio cieco che in passato aveva intascato un ingente risarcimento per la figlia uccisa in un incidente stradale.
Ovviamente non tutto fila liscio come previsto.
E con la trama mi fermo qua.
Direte tutto già visto, rivisto ecc… ERRORE! L’utilizzo della macchina da presa, una buona scrittura e le soluzione adottate possono sempre fare la differenza e in Man in the dark si vede .
Potrei descriverlo in due maniere ovvero: una rappresentazione nichilista della miseria umana oppure un ottimo mix di diversi generi, assemblati in maniera perfetta tra di loro.
Dunque: tutti i personaggi che sono quattro, sono pieni zeppi di miseria, ognuno alla propria maniera è negativo, portatore di un carico di odio, tristezza, solitudine non indifferente.
Ognuno si è arreso alla vita, ha smesso di lottare, di sognare, di vivere.
Man in the dark ottimo sotto tutti gli aspetti tecnici si avvale della colonna sonora di Roque Banos (evil dead), musiche strumentali perfette, un compendio su come si costruisce una partitura per un film di questo genere.
Il film come detto precedentemente parte come un classico thriller, si sposta sull’horror con alcune scene ad effetto nelle cantine della casa, con una scelta perfetta di fotografia, vira sul dramma mettendo a dura prova le emozioni dello spettatore e si sposta anche sul torture porn senza far vedere molto allo spettatore ma con due- tre scene veramente cattive, sadiche e che non sono adatte a tutto il pubblico.
Sicuramente un film atipico, cattivissimo e senza nessuna speranza.

Federico Tadolini