martedì 25 ottobre 2016


                                                  INTERVISTA A LUCA GUERINI









1- Ciao, presentati ai nostri lettori, parlando della tua formazione artistica
Sono regista teatrale da ormai tredici anni ho studiato alla Piccola Scuola di Teatro di Pino Leone poi ho proseguito alla Scuola delle Arti (corso di attore, videofilmaker e sceneggiatore) con insegnanti del calibro di Pino Quartullo, Giovanni Diotiaiuti, Luciano Melchionna, Paolo Orlandelli, Marcello Cotugno, Stephen Natanson, Fioretta Mari, Salvatore Basile, Daniele Vicari... appena diciottenne ho creato un mio gruppo con quattro ragazzi dell’Oratorio Salesiano che frequentavo e attualmente i casting che annunciamo hanno circa quattrocento iscritti da tutt’Italia. Di strada ne è stata fatta insomma! Nel percorso infatti ho partecipato e vinto premi nazionali per il teatro innovativo che mi hanno portato ad essere per due anni ospite fisso in Rai alla trasmissione di Gigi Marzullo “Il Cinematografo” nel quale commentavo i film in uscita. Da due anni, per motivi di studio (ho preso nelle Marche la seconda laurea e lo scorso anno la terza), mi sono trasferito a Pesaro ed ho creato un gruppo che comprende una quarantina di attori provenienti dalle province di Rimini e Ancona. A Roma, invece, continuo il lavoro con attori professionisti, d’Accademia e volti noti di televisione e cinema.

2- Spiegaci come è nato l’incontro con Roberto Ricci e come ti ha convinto ad accettare di curare la regia del Segreto di Caino
Quando ho conosciuto Roberto venivo dal primo premio conquistato da un mio cortometraggio/spot di promozione del territorio dell’Alto Lazio che è stato appunto usato dalla Provincia per meeting e fiere internazionali e dalla proiezione del mediometraggio “Cibo” all’International Tour Film Fest a cui partecipavano registi di 61 nazioni. Coinvolgendo persone del territorio con la passione del cinema abbiamo iniziato a lavorare su questo progetto e buttato giù la sceneggiatura dal soggetto di Roberto che mi ha subito conquistato perché vicino al repertorio che teatralmente mi ha reso famoso.



3- Come si sono svolte le riprese? Parlaci del processo realizzativo, scelte del cast e strumenti tecnici che hai deciso di utilizzare
Penso innanzitutto che nel cinema siano molto importanti nella resa finale gli aspetti economici e gli strumenti tecnici utilizzati ed il progetto IL SEGRETO DI CAINO è stato realizzato veramente a zero budget. Lo stesso progetto con strumentazioni e budget economico diverso avrebbe avuto differente resa, ma non ha senso sognare o fare i conti con ciò che non si ha. Gli attori coinvolti, che magari mi conoscevano teatralmente, hanno sposato il progetto con grande serietà ed impegno nonostante ad esempio la difficoltà oggettiva del fatto che provenissero chi da Milano, chi da Roma, chi da Viterbo, chi da Piacenza, chi da Rimini ed alcuni erano alla loro prima esperienza davanti alla telecamera. Non ritengo che dare fiducia a chi ha voglia di migliorarsi sennò faremmo il discorso del “cercasi apprendista con esperienza”.

4- Parlaci del passaggio teatro- cinema, codici diversi e problematiche diverse, come ti sei trovato in questo passaggio?
 Come dicevo non sono scevro di regia cinematografica anche se dichiaro di non essere esperto in strumentazioni tecniche ed altri accorgimenti pratici e sono dell’idea che ognuno deve fare quel che sa fare, quindi mi sono avvalso di collaboratori della zona che avevano maturato esperienze precedentemente e hanno dato anche loro il massimo e devo pubblicamente ringraziarli. E’ ovvio che se una cosa va bene è merito di tutti, se una cosa va male è colpa del regista, ma questo succede anche nel teatro...

5- Il segreto di Caino affronta uno dei temi più scottanti ovvero la prostituzione omosessuale, hai avuto problemi con il cast per alcune sequenze audaci presenti nella pellicola?
Assolutamente perché, come spiegavo, come regista teatrale sono conosciuto per un percorso di ricerca antropologica sugli istinti primordiali quindi lavoriamo abitualmente su scene di aggressività, nudità, sessualità, paura, violenza e vergogna che confluiscono nei nostri spettacoli teatrali e prodotti video. La proposta di Roberto era totalmente nel nostro repertorio quindi l’abbiamo affrontata dando il massimo, comunque non parlerei di “audace” nel senso che non c’è nulla di volgare o vouyeristico nel medio metraggio ma è tutto ben studiato e funzionale alla trama da raccontare.

6- Sei soddisfatto del risultato finale del segreto di Caino? Cosa a tuo modo di vedere funziona e cosa no?

Parlando tempo fa con un attore mi chiedeva perché tenessi nel nostro canale Youtube video anche molto amatoriali di spettacoli che avevamo fatto, riprese di monologhi nei primi anni di Skenexodia e mi ricordo di aver risposto con grande limpidezza “perché c’è stato quel passo sono arrivato dove sono”, non penso che si possano fare quattro gradini di una scala tutt’insieme. Ci sono dei problemi tecnici riguardanti il rumore di fondo in alcune scene o il fuoco in altre, ma anch’esse fanno parte del progetto che abbiamo portato avanti quindi non c’è nulla da rinnegare o disconoscere. Altre cose come lo sguardo in macchina voluto in alcune battute chiave, gli scavalcamenti di campo, la presenza di scene “inutili” alla narrazione (l’ispettrice che prende il caffè con la vicina, Fosco che guida...), la presenza di una canzone di Raffaella Carrà nell’ultimo omicidio o i titoli di coda nell’agenda della venditrice immobiliare sono segni distintivi del mio stile e chi mi conosce può trovarvi identità, ovvio che chi non ha mai visto un mio spettacolo li possa trovare spiazzanti o sbagliati, ma spero che anzi questo incuriosisca al punto da venire a teatro a vedere quel che combino...


Federico Tadolini

venerdì 21 ottobre 2016

                                                  IL SEGRETO DI CAINO








Dover recensire un film, purtroppo ha anche i suoi lati negativi soprattutto quando devi scrivere in maniera non felice di un prodotto indipendente.
Una cosa che dispiace veramente, perché sono consapevole del dispiego di energie che si ritrovano dietro questi progetti, però la serietà e la sincerità sono elementi che vengono sempre prima .
Roberto Ricci autentico amante del giallo, valido scrittore con all’attivo già tre libri e numerosi racconti sparsi per diverse antologie, affida la regia a Luca Guerini, proveniente dal mondo del teatro per questo suo soggetto.
La regia a teatro è tutta un’altra cosa rispetto al cinema, codici diversi, diversa gestione degli attori e tutta una serie di espedienti tecnici che non sto ad elencare, che nel cinema se non vengono utilizzati da esperti del settore, possono pregiudicare completamente il lavoro.
Un esempio classico e come vedremo è uno degli elementi maggiormente negativi del segreto di Caino è l’audio, nel cinema soprattutto nelle riprese esterne il pericolo di vedere danneggiate delle riprese anche buone, è grosso, ma anche negli interni i piccoli rumori a cui magari non diamo peso, nel risultato finale e ad orecchie esterne possono veramente infastidire.
Il segreto di Caino parla di alcuni omicidi che avvengono nel sottobosco della comunità gay in cui alcuni giovani ragazzi si prostituiscono per ottenere regali costosi o denaro.
La storia ruota intorno alla figura di Fosco, un uomo di mezz’età che adesca su internet questi ragazzi per poi utilizzarli per i suoi giochi sessuali e per la particolare fissazione per i capi intimi dei giovani.
In italia, paese altamente omofobico e incline allo scandalo a tutti i costi (assurdo con tutti i problemi che ci sono organizzare manifestazioni altamente razziste e vergognose come il family day), l’argomento non è stato quasi mai affrontato se non in commedie becere e che non riescono a far riflettere lo spettatore.
Quindi devo dare atto a tutto il cast del film della durata di trenta minuti, di affrontare la questione senza troppi peli sulla lingua e senza fronzoli.
Purtroppo come detto precedentemente i meriti finiscono ben presto, perché sono trenta minuti tirati veramente per le lunghe, dove i dialoghi sono poco curati e c’è pochissima azione, portando lo spettatore ad annoiarsi, che per un giallo è una cosa altamente negativa.
I titoli iniziali indugiano per diversi minuti sul volto di un attore e le sue smorfie (capisco che è una scelta del regista, ma sinceramente un inizio del genere non l’ho veramente capito), per poi introdurci il personaggio di Fosco.
Qua subentra appunto uno dei difetti maggiori del film: l’audio, che a tratti diventa quasi insostenibile con il rumore esterno che sovrasta il dialogo, quasi a infastidire lo spettatore, cosa che purtroppo si ripete anche nel dialogo tra la donna e Fosco davanti all’ingresso della casa, col rumore del traffico e della pioggia che sovrasta la voce degli attori.
La nouvelle vague ci ha insegnato che le regole possono essere scardinate, però lo sguardo in macchina da parte degli attori è uno degli errori più assurdi e intollerabili che ci possano essere, che fa sprofondare il prodotto filmico nel più basso stato dell’amatorialità.
Le location andrebbero sfruttate meglio: gli interni della casa se non adeguatamente preparati (scenografo oppure lo stesso regista che sistema le cose che non vanno assolutamente inquadrate.. piccola postilla, ti ricordi Roberto per guanti neri, quanti oggetti abbiamo spostato nel negozio di Andrea?), rischiano veramente di far abbassare la qualità del film, facendo capire allo spettatore la povertà di mezzi e il grandissimo errore di accontentarsi .
Oppure altra soluzione: non riprendere in campi troppo stretti e allargare la ripresa.
Sempre riguardo la regia, non ho capito il “fuori fuoco” della macchina da presa quando riprende un attore durante un dialogo, per poi ritornare sul fuoco.
Perception shot? Ma a che riguardo? In ogni caso non è una cosa giustificata, il “vezzo” registico (non voglio parlare di errore tecnico, perché sarebbe una cosa troppo forte), deve essere giustificato, soprattutto se in un caso isolato come questo, visto che per il resto della pellicola, la regia si mantiene in maniera lineare pur se adottando scelte registiche di dubbia qualità (la ripresa in macchina da dietro con la camera piazzata male che riprende di sbieco Fosco mentre parla, mentre si tiene sul poggiatesta del passeggero).
Una cosa invece che devo dare merito al regista è l’essere riuscito (cosa difficilissima), a non scadere nel becero e nella  volgarità, cosa che per l’argomento trattato sarebbe stato il pericolo maggiore.
Le recitazioni non mi hanno convinto, ma non pregiudicano il risultato finale, capisco che i personaggi vogliono essere ripresi e descritti nella loro quotidianità, senza risultare troppo accattivanti, quindi ci possono anche stare.
La musica invece è un elemento parzialmente positivo: ovvero è ottima quando si mantiene su di un binario strumentale, particolarmente ritmato e inquietante in modo tale da far accrescere la tensione, scade molto invece quando la soluzione adottata è la classica canzone melodica all’italiana.
Il finale è curioso: divertente e originale il passaggio dei titoli di coda, assurdo e imbarazzante invece lo sguardo in macchina dell’attore con il dialogo inerente Fosco.
Quindi considero il segreto di Caino un lavoro veramente poco riuscito, ma che se eliminati gli elementi tecnici veramente imbarazzanti che ho elencato e adoperando un buon montaggio avrebbe potuto anche funzionare.


Federico Tadolini

giovedì 6 ottobre 2016

L’acconciatura sbagliata




Dopo l’ottimo respiro tagliente e il buonissimo Buio rosso, il poliedrico scrittore Roberto Ricci si ripresenta con L’acconciatura sbagliata, edito da youcanprint e regolarmente acquistabile presso qualsiasi libreria.
Ricci è un amante sfegatato del giallo all’italiana e in particolar modo del cinema di Dario Argento presente in quasi tutti i suoi racconti, e anche nella versione a fumetti dell’accendino insanguinato.
Anche in questo romanzo troviamo tantissimo del Dario Argento che fu, citazioni comunque perfettamente riuscite e che non appesantiscono mai la lettura, anzi divertono il lettore.
La trama è molto semplice: in una piccola cittadina di provincia dove tutti si conoscono, un serial killer inizia ad uccidere parrucchieri, in modi molto cruenti e tutti i peccati e i segreti vengono inevitabilmente a galla.
Un commissario indaga per porre fine alle sue gesta.
Ricci ha uno stile molto semplice, lineare, perfettamente chiaro a tutti e questo è un grandissimo pregio.
Cosa deve fare uno scrittore? Mantenere la propria identità, scrivere nel modo più congeniale, come gli compete fare, senza nessuna forzatura.
E Roberto sa scrivere, senza forzare il suo modo, senza orpelli che non gli competono.
La storia non si sfilaccia (ricordo che è la sua primissima esperienza con un romanzo), ma perde un pochino di ritmo quando si spinge a descrivere tutti i vizi, i peccatucci dei protagonisti, diventando alla lunga un po’ stucchevole.
I personaggi sono tutti ben caratterizzati, a cominciare dal commissario Calcinacci a cui Roberto ha voluto dare (a mio modo di vedere in maniera azzeccatissima ) un volto umano, una persona piena di tentazioni .
Le descrizioni dei delitti funzionano e rispetto ai precedenti libri devo notare una certa predisposizione nel descrivere anche i particolari più macabri e anche le scene di sesso .
Da notare il primo omicidio molto macabro, anche se la descrizione della morte del gatto sinceramente l’ho trovata un po’ troppo gratuita.
Come detto precedentemente Ricci sa utilizzare molto bene i codici del genere, e per esempio la scena sul pullmann con la figura minacciosa del serial killer è veramente riuscita, mantenendo una certa suspense non facilissima da costruire.
Purtroppo il finale non mi ha convinto quasi per niente, sia per una citazione veramente troppo simile ad un capolavoro di Dario Argento che non voglio citare per non svelare troppo e soprattutto per la soluzione finale che sicuramente va premiata per l’originalità ma che a mio modo di vedere, andava sviluppata in maniera meno frettolosa.
Federico Tadolini


lunedì 29 agosto 2016

LOOP





Nel panorama del cinema indipendente capita di trovare anche chi sceglie la strada più difficile, ovvero quella di evitare i soliti lavori a base di zombi e serial killer, litri di sangue e frattaglie (lungi da me criticare questi prodotti, ma effettivamente sono molto inflazionati) per toccare tematiche ben più difficili e maggiormente ostiche sia sotto l’aspetto realizzativo, e anche per catturare l’attenzione dello spettatore.
Loop è un cortometraggio di Paul Gabriel Cornacchia e sceneggiato da Lorenzo Paviano già conosciuto per aver scritto i due cortometraggi di Stefano Rossi tra cui il superbo Recording, e che aspetto con trepidazione per The blind king il nuovo lavoro del coraggioso regista romano Raffaele Picchio (se Morituris non vi dice niente, è un problema vostro).
Il corto della durata di diciassette minuti non ancora visibile online ma che è stato presentato al fantafestival di Roma ripercorre i ricordi, la tristezza di un uomo chiuso dentro la sua abitazione, senza più speranza nella vita e senza obiettivi, ma impegnato solamente nel ricercare con la mente i trascorsi con una giovane ragazza che si capisce immediatamente ha chiuso con lui ogni tipo di rapporto.
Sicuramente è un lavoro che sprigiona sin dalle primissime inquadrature e avvalendosi di una regia “fluida ma allo stesso tempo essenziale e precisa nei dettagli” un carico di malessere non indifferente e che catapulta lo spettatore più attento dentro il mondo del protagonista.
Questo è un mondo popolato solamente da una persona ovvero la ragazza che insegue con la sua memoria, per il resto è totalmente vuoto, senza più nessuna dignità e senza interesse .
Loop è un cortometraggio che fa perno sull’insieme delle cose a disposizione e che funziona grazie a tutto il meccanismo ben consolidato.
Ottima la recitazione di Daniele Favilli, funzionale quella di Lavinia Pini, ottima la colonna sonora e come dicevo precedentemente molto buona e “intelligente “la regia, precisa e attenta nel seminare “indizi” allo spettatore senza cedere a sterili virtuosismi che non sarebbero stati pertinenti per un corto di questa fattura.
Abbastanza prevedibile la soluzione finale ma comunque non pregiudica affatto il buon esito del cortometraggio
Federico Tadolini

mercoledì 8 giugno 2016





FOOT FOOD
STEFANO ROSSI






A me la scrittura di Stefano Rossi piace.
Sicuramente questo non è il modo più idoneo per iniziare una recensione, ma almeno una volta vorrei scriverla staccandomi dalla solita convenzione 1- introduzione dell’opera-autore 2- brevi accenni della trama (rigorosamente senza spoiler), 3- collocazione in un preciso genere con analisi dei codici 4- caratteristiche dei personaggi 5- breve giudizio critico.
Vorrei appunto scriverla nello stile di Foot food, quindi immaginatevi di guidare in un non meglio precisato deserto con tutte le caratteristiche del caso: caldo asfissiante, sudore, noia, fame, voglia di incontrare una qualsiasi persona di sesso femminile.
Cosa si prospetta all’orizzonte? Un foot food, ovvero una sorta di fast food dove tutto viene servito a forma di piede.
E già questa cosa, è una figata assoluta,
Polvere, tette grosse, carne……
Essendo un fervido appassionato di cultura americana, nonché ragazzo del drive-in, luogo di culto dove si può mangiare roba sporca e unta con la presenza di individui caratteristici dalle molteplici sfaccettature e parafilie, non posso non apprezzare questo libro che è un contenitore delle passioni di Stefano Rossi cinema- letteratura- musica.
Già perché foot food è come fosse una partitura musicale oppure un disco fottutamente rock al 100%, pieno zeppo di chitarre ruggenti e acide.
Già ma di cosa parla questo libro? Se avete letto 24 ore il precedente libro di Stefano Rossi, sapete già cosa aspettarvi.
Ovvero una storia pulp piena zeppa di frattaglie con tanti personaggi, ma senza un vero protagonista assoluto, divertimento, ritmo altissimo.
L’unica cosa che manca in questo libro è la noia, perché Rossi da abile lettore- scrittore e anche regista sa perfettamente i codici da utilizzare e dove piazzarli.
In foot food, troviamo anche elementi horror, che a mio avviso stonano un po’ col resto del libro, ma è un giudizio assolutamente personale, perché sono comunque ben strutturati e non risultano “indigesti” o forzati.
Se fosse un film consiglierei tranquillamente di guardarselo d’estate in un drive in a bordo della propria macchina, in compagnia di una ragazza.
Invece questo libro andrebbe distribuito proprio davanti ai drive in, sono sicuro che andrebbe a ruba.
In alternativa, consumatelo preferibilmente in una bella giornata di sole sulla spiaggia oppure davanti ad un cheeseburger unto e bisunto accompagnato con patatine fritte e coca cola.

Federico Tadolini

martedì 31 maggio 2016





IL CAMPIONE
Un racconto di Filippo Santaniello




Filippo Santaniello è un giovane scrittore di Roma ed è uno dei nomi più interessanti e poliedrici del panorama letterario indipendente.
Nella sua attività di scrittore si è contraddistinto per saggi cinematografici come quello sul film “La mosca” di David Cronenberg, sceneggiature per lungometraggi come Bloody sin di Domiziano Cristopharo e cortometraggi come Sarcophaga di Giuseppe Peronace e tantissimi racconti pubblicati su varie antologie del settore o riviste.
Il campione è un brevissimo racconto pubblicato ad aprile 2015 sulla rivista online “l’inquieto” ed è ambientato nella gelida Svezia in un giro di scommesse molto particolari.
http://linquieto.blogspot.it/2015/04/il-campione.html

Gli elementi principali del racconto sono costituiti da due fattori chiave della letteratura splatterpunk ovvero sesso e violenza .


Santaniello conosce benissimo la materia e utilizza questi fattori in modo eccellente distribuendoli sapientemente per tutto il racconto utilizzando parole “secche e dure”, ma senza scadere mai nella volgarità, anzi riuscendo a mantenere la tensione fino alla fine senza perdersi in descrizioni troppo minuziose che avrebbero sicuramente “deviato” la natura del racconto.
Il campione è un racconto “notturno”, la sua location ideale è una strada periferica immersa in una landa deserta, fredda e polverosa, dove tutti i personaggi sono esseri senza una precisa identità ma spinti ad affrontare una gara assurda per combattere la noia del quotidiano.
Ottimo il finale, consiglio a tutti la lettura di questo piccolo gioiellino di letteratura “nera”.
Federico Tadolini



giovedì 26 maggio 2016

SOMNIA






Due anni fa uscì nei cinema con una buona distribuzione il film horror Oculus di Mike Flanagan.
Fu una bella sorpresa alquanto inaspettata, difficilmente ho visto un’opera prima così curata in ogni dettaglio e soprattutto un film che facesse veramente paura con un sapiente mix di tensione e scene violente sapientemente distribuite per tutto l’arco dei novanta minuti.
Inoltre una colonna sonora strumentale che metteva veramente i brividi, degna erede di quelle partiture veramente riuscite di Joseph Bishara.




Ieri è uscito nei cinema (e anche qua con una buona distribuzione) Somnia, sempre di Mike Flanagan  .
Aspettavo molto questo film anche per verificare se le premesse di Oculus sarebbero state rispettate e se Flanagan poteva essere indicato come un nuovo esponente del cinema horror che purtroppo latita parecchio (soprattutto nel 2016) di nuovi maestri .
Purtroppo anche Adam Wingard dopo il superbo you’re next ha voltato pagina, affrontando il thriller con The guest (da luglio regolarmente distribuito in dvd-blu ray anche da noi).
Aspettiamo al varco Rob Zombie con 31 e Domiziano Cristopharo con Virus per vedere se ci sono altri sbocchi per questo genere, dal momento che The boy non ha detto praticamente niente di nuovo.
Quindi mi fiondo subito al cinema per assistere alla prima visione di Somnia.
La trama è abbastanza derivativa: una giovane coppia dopo la morte del loro unico figlio adotta un bambino con seri problemi legati al sonno.
In sostanza ha un potere, ovvero quello di creare “presenze materiali” a secondo del suo sonno, può riuscire a materializzare stupende farfalle, come creare l’uomo- cancro un essere demoniaco, strettamente legato al suo passato.
Il film è abbastanza lento (ma non è questo il punto), ovvero per raccontare e far vedere due cose, si ingarbuglia in cento cose che potevano a mio vedere essere tranquillamente evitate, come un riempitivo …
La regia si mantiene molto fluida come nel precedente Oculus, confermando le qualità del regista che non ha i vezzi e l’abilità tecnica di James Wan, ma che la macchina la sa utilizzare molto bene.
Negli ultimi anni, il film Babadook forse è la pellicola che ha catalizzato maggiori consensi e a tratti Somnia me l’ha ricordato, così come il film spagnolo La madre.
La colonna sonora è costruita in maniera meno d’impatto che nel precedente Oculus ma si mantiene su buonissimi standard qualitativi, ed è curata da Danny Elfman, che contribuisce a creare quel mondo "magico" da fiaba alla Timb Burton, cosa che mi ha infastidito non poco.
Le recitazioni funzionano molto bene, mentre gli effetti speciali sono pochi e senza presenza di scene violente, mentre la creatura è stata costruita in digitale (in maniera molto discutibile).
Somnia si distanzia nettamente dal genere horror, prendendo sempre più la via verso un dramma famigliare, ben orchestrato, ma che lascia una brutta patina di già visto e di buonismo a tratti esasperante.
Sicuramente un film fatto bene e confezionato meglio, ma che continua nella scia del già visto e del prevedibile, senza particolari note di merito .


Federico Tadolini

lunedì 23 maggio 2016




                               INTERVISTA A BLOODY HANSEN- THE PROVIDENCE








1-    Parlaci del tuo progetto The Providence: quando nasce, come si è sviluppato e quale sarà la sua evoluzione

The Providence nasce dalla mia grande passione per i film horror e per l'heavy metal, quando da ragazzino ho conosciuto i Death SS mi si è aperto un mondo, mi fecero capire che si potevano unire le due cose, e sicuramente dentro di me, da quel preciso istante, ho sempre desiderato fare qualcosa del genere, daltronde all'asilo disegnavo i cadaveri appesi sugli alberi quindi il mio futuro doveva essere per forza questo, o musicista in una horror band o psicopatico. Penso che se dovevo concentrarmi su una forma d'arte, doveva essere per forza orrorifica, poi niente, all'epoca del myspace,  avevo provato a registrare qualche cazzatina, così per scherzo, e  mano a mano the providence è diventato quello che è oggi, un progetto molto serio che spero mi dia tante soddisfazioni.

2-    Visto che brividi in sala è un blog che perlopiù si occupa di cinema horror, raccontaci le tue prime esperienze con questo genere cinematografico

Questo è un bellissimo tuffo nel passato. la primissima esperienza in assoluto io quasi manco me la ricordo, perchè avevo 6 anni ed è sempre mia madre a raccontarmela, mi dice sempre che lei e mio padre vedevano Profondo Rosso con i nostri vicini di casa, ed io entravo sempre in salotto incuriosito e attratto dalla tv come Carol Ann in Poltergesit. Se non è destino questo! poi crescendo ho scoperto i vari cult, con L'esorcista non ho dormito per tanto tempo, mi ha letteralmente terrorizzato, c'era il mio padrino che prima che il film iniziasse mi ripeteva "guarda che ti fa paura, stai attento, io ti ho avvisato" in effetti ero troppo piccolo per reggere un impatto del genere, e infatti come dicevo, mi sconvolse. poi che dire, la prima volta che ho visto Evil Dead, è stato come il primo appuntamento con la fidanzatina. per non parlare delle serate passate dentro le videoteche, dove noleggiai il cult italiano Il Bosco 1 per dirne uno. Poi vabbè Notte Horror, fisso ogni martedì alle 22:30, e chi se lo scorda Zio Tibia?

3-    Return to morningside, è un disco abbastanza diverso dai precedenti, cosa ti ha portato a ridurre in modo molto vistoso i campionamenti e dare maggior spazio alle chitarre?
Era solo questione di tempo, io attualmente ho 37 anni e ascolto thrash metal e death metal da quando ne avevo 14 più o meno, quindi le chitarre per me sono indispensabili. per the providence ho iniziato con l'ambient e i campionamenti da film perchè non avevo la possibilità da solo di fare metal, ora con dick laurent posso farlo, ma questo è solo un secondo passo,  voglio più pezzi veloci e ancora più heavy, sulla scia di mercyful fate/king diamond per intenderci

4-    Come vedi l’attuale panorama musicale italiano?
Non mi piace, a parte pochissime eccezioni, non ci sono bands attuali o recenti,  che mi piaciono, ma non solo in  italia, io direi in generale. quando mi annoio per così tanto tempo perdo le speranze e smetto di seguire, quindi non so se stia cambiando qualcosa ora come ora, ho perso parecchio interesse, preferisco 1000 volte ascoltarmi i gruppi vecchi che avevano tanto da dire rispetto alla nuova generazione. per farti un esempio, ora ho voglia di ascoltarmi un po di rock italiano, e sicuramente metterò su l'album omonimo dei grandissimi Karma

5-    Perché la scelta di non suonare dal vivo?
essere solista è bello perchè decidi tutto tu, il disco esce esattamente come ti pare e piace a te, senza discussioni, quello che poi sentirai l'hai deciso esclusivamente tu. i problemi nascono dal vivo, ho dei carissimi amici che sono disposti ad aiutarmi, ma questi amici hanno anche le loro bands, e quando sono in pausa musica possibile che stanno lavorando, quindi far coincidere tutto è un grandissimo casino, ma prima o poi deve accadere. ci sono tante bands con membri che vivono lontanissimi, e si trovano in un posto per provare una settimana prima di partire in tour, farei questo molto volentieri se a qualcuno interessasse. Voglio continuare a fare dischi per cercare di far crescere il nome ed avere anche proposte di questo tipo prima o poi

6-    Con quale musicista ti piacerebbe collaborare?
con Steve Sylvester prima di tutto e poi il mio sogno sarebbe scrivere una canzone con la cantante Elisa, non quella che va ad Amici però, ma quella che scrisse Asile's World, non dico in ambito horror, ma in generale, a parte le sue ultime discutibili scelte, è l'artista che stimo di più in assoluto, la maggior parte delle persone che lo scoprono non ci credono ma io adoro quella donna, so tutti i suoi cd a memoria, ho una collezione dei suoi album molto grande a casa. ritornando ad atmosfere più pesanti citerei anche Samaya Otep che da qualche mese a questa parte ascolto ogni santo giorno. la lista sarebbe parecchio lunga, mi fermo qui solo per non fare l'elenco della spesa.

7-    Ci puoi dare anticipazioni sul prossimo disco?
Il prossimo sarà un mimi cd, con un inedito, che forse chiamerò "Creatures Of The Night, poi un remake di un pezzo vecchio, "Tall Man" nello specifico, e 3 cover, due già decise al 100%, "Andres" delle L7 e "Wicked Woman" dei Coven, e la terza quasi certa che molto probabilmente sarà "The Witch" dei The Rattles. In questo momento Laurent è in studio lavorando allo split Cadaveria/Necrodeath, appena finirà si concentrerà su The Providence

8-    Nella vita privata Bloody Hansen chi è?
Non sono bravissimo con le parole quindi non so se sono capace di far capire a chi non mi conosce, chi è Bloody in poche righe, sono una persona che per anni  e anni ha messo sempre il divertimento come prima cosa, e diciamo che mi son fatto un curriculum di tutto rispetto nella mia zona, per la contentezza dei miei genitori ahah poi un pochettino sono maturato, era ora.. anche per via di una malattia che mi ha sposato 5 anni fa circa, e da quel giorno ho cercato di dare più importanza all'arte, perchè questa grana che c'ho io, senza andare nello specifico, è imprevedibile, ed è possibile che da un giorno all'altro non potrei forse nemmeno più prendere una chitarra in mano o cantare, quindi ogni canzone che registro per me è come se fosse l'ultima, non per pessimismo, ma tutto il contrario, il fine è smentire la malattia e far si che quella canzone non sia l'ultima. Una situazione del genere ti può cambiare in più aspetti, dipende dalla persona, o ti abbatti o cerchi quella cosa che ti tiene a galla, io cerco la seconda, che in questo momenti è sicuramente the providence

9-    Parliamo di cinema horror indipendente: hai qualche nome di regista che ti ha particolarmente entusiasmato e che secondo te meriterebbe maggiore spazio?
Ho comprato Naftalina di Ricky Caruso, e dopo averlo visto spero che questo regista venga messo nelle condizioni di fare tante belle cose perchè è una persona preparatissima e con grande gusto, basta seguire i suoi discorsi su facebook per notarlo, una persona veramente a modo, educata che mai polemizza ma sa argomentare come pochi. più indietro nel tempo ero in contatto con Paolo Gaudio che spero un giorno di risalutare, non so se si ricorda di me, spero di si perchè è un regista eccezionale. Inoltre un bel "sticazzi" Lorenzo Bianchini se lo merita alla grande in quando il suo Oltre il Guado è un gioiellino.Poi ovviamente grazie al Tadolini sempre interessato ad usare la mia musica per i suoi lavori, ti auguro ogni bene

10-                      Il suono del tuo progetto è molto “cinematografico”, non hai mai pensato di realizzare una colonna sonora interamente strumentale?
Sarebbe una bella esperienza sicuramente, ma ti dirò, per ora non sono interessatissimo, certo è che io ascolto tutto quello che mi si propone, ma il fatto è che mi piace troppo fare canzoni, io voglio fare cd per farmi conoscere di più ed avere la possibilità di andare in tour, io mi sento un ragazzino, io voglio far casino su palco non so se mi spiego, ed è terribile non poterlo fare per ora. la colonna sonora magari sarà un obbiettivo tra tantissimi anni, quando non potrò più cantare al livello di adesso e quindi potrò concentrarmi al genere ambient come nel primo album senza dovermi sforzare per cantare cattivo. per ora ribadisco che tra una chiamata per una soundtrack e un po di vita on the road sceglierei senza nemmeno pensarci la seconda


Federico Tadolini

giovedì 19 maggio 2016



THE PROVIDENCE
RETURN TO THE MORNINGSIDE









1-    Killer klowns
2-    Slasher
3-    Spider baby
4-    Il male
5-    Take me to midian
6-    Witch the bitch
7-    Hammer house of horror
8-    Prayers
9-    Midnight skies
10-                     Satan loves you all

Giunge al terzo album il poliedrico musicista Bloody Hansen col suo progetto The Providence.
Parlo di progetto e non di gruppo, perché tutto nasce e ruota intorno alla mente del musicista sardo e delle sue grandi passioni: musica e cinema horror.
La copertina del disco questa volta riproduce il personaggio col cappello dello scorso album “the bloody horror picture show” insieme alla bambina in sella ad una moto, probabilmente in fuga dagli zombie che stavano precedentemente emergendo dal sottosuolo.
Quindi seguendo l’ordine cronologico troviamo: un cimitero con le lapidi, figlio di un immaginario gotico stile hammer, il personaggio col cappello che tiene per mano la bambina in un contesto fortemente horror dove gli zombi stanno per aggredirli e adesso invece una fuga, con la presenza malefica che si staglia in alto nel cielo.
Sui significati delle copertine approfondiremo la questione direttamente con Bloody Hansen durante l’intervista che mi ha gentilmente concesso.
Se The Bloody horror picture show lo consideravo un buon disco (qua potete trovare le altre recensioni su questo progetto http://brividiinsala.blogspot.it/2014/02/theprovidence-horror-musicmade-in-hell.htmlhttp://brividiinsala.blogspot.it/2014/01/the-bloodyhorror-picture-show-ci-sono.html  ), Return to morningside lo considero l’album della maturità .
Ci sono netti miglioramenti sotto tutti gli aspetti, soprattutto nella parte strumentale dove le parti suonate sono arricchite e indurite in diverse canzoni, a tratti rendendole veramente aggressive.
I campionamenti dai temi dei film horror sono ridotti (mentre nei due dischi precedenti erano molti), ma la voce resta sempre la protagonista del progetto The Providence.
Una voce che sembra provenire dall’oltretomba e che ci narra di omicidi, mostri e altre aberrazioni dell’animo umano.
Pregevole la scelta di utilizzare la melodia, senza forzare troppo e scendere nel growl.
Ascoltando questo disco a tratti ho sentito quelle atmosfere anni ottanta presenti nel film Morte a 33 giri (Trick or treat), con la colonna sonora realizzata dal gruppo americano dei Fastway.
In questo album si sentono comunque le influenze maggiori dell’horror rock italiano, ovvero i Death ss e in particolar modo il disco Heavy demons, dove le sonorità del gruppo si spostarono verso suoni molto eighties e affrontarono temi classici del cinema horror.
Possiamo trovare un grande omaggio al film Killer klowns from the outher space dei fratelli Kiodo, e una versione riarrangiata del classico Slasher (che è la mia canzone preferita dei tre dischi), un vero atto d’amore verso questo sottogenere horror che ho amato fin da bambino.
Consiglio a tutti di dare una possibilità a questo musicista che sicuramente metterà d’accordo tutti gli amanti di queste sonorità.
Federico Tadolini


mercoledì 4 maggio 2016


                                             Federico Sfascia






1.     Partiamo in maniera anomala ovvero parlando di fumetti visto che sei uno dei protagonisti del fumetto Carogne dei tuoi amici della Krakatoa. Qual’ è il tuo rapporto col mondo del fumetto?

Carogne! Adoro quel fumetto, creatura di quei pazzi talentuosi della Krakatoa Ink (vi consiglio di cercare i loro corti e lunghi su youtube, non ve ne pentirete) disegnato da quel geniaccio di Camme Fantaman…che figata Carogne…compratevelo cazzo!
(Consiglio pure io di reperire i fumetti e i film della Krakatoa… li trovate anche tutti gli anni nello stand autori di Lucca comics. Io passo a trovarli tutti gli anni, simpatici, folli e geniali).
Il mio rapporto con il fumetto è iniziato da piccolo, con l’uomo ragno, nell’epoca in cui se leggevi fumetti non eri un vincente ma una sorta di appestato coglione.
Mi ricorderò sempre di quella volta che, in prima liceo, una tizia in classe con me  mi chiese con espressione tra il disprezzo e la sincera preoccupazione “ma tu ce credi davvero che esistono (i supereroi) ?”
L’ho rincontrata l’anno scorso con il pischello. Lui con la maglietta di Iron Man lei con quella dell’uomo ragno.
In quel momento ho capito che con la fregna non è mai una questione di cosa ti piace, ma di QUANDO ti piace.
Detto questo li ho letti in maniera continuativa per qualche anno poi mi sono rotto le palle e ho iniziato a comprarli solo quando c’erano disegnatori interessanti…alla fine guardavo le figure, le storie a metà degli anni 90 tra saghe del clone, mignotte rivendute per supereroine e morti di superman sono diventate delle puttanate insostenibili che, a mio modesto parere, hanno progressivamente allontanato i personaggi dalla loro purezza e dal sense of wonder…e si è arrivati a vedere al cinema immondizia come i film di Snyder con Henry Cavill vestito da Superman...un assassino imbronciato ed incapace in un mondo senza colori…bella merda.
Io adoro Jack Kirby e quell’approccio assolutamente esplosivo ed impossibile da imbrigliare della fantasia…ingenuo se vuoi ma mitologico.
E poi quelle meravigliose eccezioni che ho letto (ho guardato anche le figure, ma l’ho letto perché è bello) tipo ALL STAR SUPERMAN di Morrison, una storia che consiglio a tutti per capire quanto può essere bello il personaggio di Superman senza bisogno di snaturarlo per andare incontro ai gusti di 15enni (chiusi in corpi di 40enni) rancorosi ed ignoranti.

Non so se ti sto rispondendo, probabilmente no, ma a stringere io ho sempre disegnato, quindi le arti figurative (pittura, fumetto, illustrazione) sono sempre state prepotentemente presenti nella mia vita.
E per riagganciarsi al discorso fregna di sopra, lo sono state SEMPRE nel momento storico sbagliato.


2.     Quando hai deciso di fare il regista?

Quando ho deciso di darmi un tono pur non sapendo fare nulla.
È una decisione facilissima che possono prendere tutti, basta comprarsi una videocamera e poi scrivere su facebook “director/actor”.
Provate è una figata.
Se parallelamente vi aprite anche un canale youtube dove parlate dei cazzi vostri è facile che prima o poi qualcuno vi prenda sul serio vi produca qualcosa.
Se poi siete ancora più capi e girate qualcosa che esca dal seminato preti/architetti ricchi in crisi di mezza età/ qualunquismo e gas intestinali, passate direttamente da registi a geni assoluti.
L’italia è la terra delle opportunità, un paese di entusiasti con la memoria e la cultura corte in cui puoi reinventarti con un cazzo.
Figata.

3.     Raccontaci dei tuoi esordi con i cortometraggi, quali sono state le maggiori difficoltà?

In realtà io ho esordito con un lungometraggio, il vergognoso ma a me caro Beauty Full Beast…i corti ho provato a farli dopo…probabilmente le sparo subito grosse per una qualche compensazione.
Parlando quindi di Beauty Full Beast e delle difficoltà, alla fine sono tutte dipendenti dalla mancanza d’esperienza.
Coinvolgi amici e conoscenti in una cosa che non sai ancora bene come gestire e come organizzare e mescoli il personale con il professionale (che professionale non è).
Insomma, almeno per me, le difficoltà sono tutte dipese dalla mancanza d’esperienza.
Come in tutti i campi vai avanti, sbatti il muso contro i problemi, e quando ti si ripresentano sai come aggirarli o abbatterli.



 4-Parlaci del passaggio da cortometraggio a lungometraggio, quali sono le maggiori difficoltà?

Per quanto mi riguarda alla fine si tratta semplicemente di tempo…più minutaggio hai più roba devi fare.
Poi ovvio che un corto di 3 minuti con 10 cambi di location può richiedere lo stesso tempo di un film di un’ora e mezza che si svolge nella stessa stanza…però a grandi linee, per quanto mi riguarda, le difficoltà aggiuntive si riducono alla quantità di girato da realizzare.






5-Che ricordi hai di I rec u? rivedendolo dopo diversi anni, sei ancora soddisfatto?

Non l’ho rivisto ma tanto lo conosco a memoria. Io sono soddisfatto nel senso che ho fatto quello che avevo in testa in quel momento specifico della mia vita.
A rifarlo adesso qualcosa cambierei, ma nel complesso la storia che volevo raccontare ha quel respiro.
Strano quanto vi pare ma alla fine, c’ho dovuto lavorare io mica il pubblico parcheggiato in poltrona…quindi l’ho fatto come lo volevo io.
Credo sia una cosa importante, il fare quello che si vuole senza tanti compromessi, con tutti i rischi che si porta dietro.
Sono in totale disaccordo con quelli che dicono “il film lo faccio per voi, non per me”...posto che mi sembra una puttanata di una falsità vergognosa, penso che con il pubblico bisogna dialogare e anche essere in disaccordo ma MAI fare quello che si aspetta…la crescita culturale e personale avviene attraverso l’incontro e lo scontro con altri punti di vista, con la curiosità del capire e poi decidere se fa per noi o meno…non c’è crescita nell’autoreferenzialità.
I Kiss dicevano “ metti sul palco la band che vorresti vedere suonare” non “metti sul palco la band che VORREBBERO veder suonare”.
Altrimenti è un attimo che ci si ritrova con la stessa minestra riscaldata riproposta per anni.
Con questo mica voglio dire che uno se fa un film come vuole è bravo a prescindere…poi c’è anche il momento del confronto e della crescita personale, e se non sei buono ad una sega dopo un po è anche il caso di smettere.
Per dire io adesso mi sono dato alla coltivazione di ortaggi e alla cura del pelo dei gatti e sono felicissimo.

6- I rec u è un film anomalo, sicuramente difficile da inquadrare in un genere ben preciso. Hai avuto delle difficoltà nel proporlo ai vari festival cinematografici?

Sì, anche perché è stato preso in pochissimi festival…sia perché è brutto sia perché non è inscrivibile in un genere.
(Piccola postilla da parte del sottoscritto Federico Tadolini, I rec U è un film molto bello e coraggioso, guardatelo, si trova su youtube a questo link https://www.youtube.com/watch?v=zObKKcJspUI)
Parte in un modo, diventa altro e poi finisce per essere qualcos’altro ancora. Come la vita no?
 Prima dei 25 anni ti senti il re del mondo poi quando scopri di non essere Sylvester Stallone capisci che te ed i pannolini avrete un’appuntamento giornaliero tra una trentina d’anni, e con quel piatto di semolino a fissarti i rimpianti saranno l’unica cosa rimasta da masticare.

Quindi sì, i rec u ha masticato delle difficoltà.

7-    Una domanda che faccio a tutti i registi: cosa ne pensi dei vari festival presenti in italia?

Io mi sono sempre trovato in situazioni molto belle e piacevoli.
Penso al Tentacoli Film Festival del 2008 dove ho conosciuto i Licaoni (Alessandro Izzo, Francesca Detti, Guglielmo Favilla) e Michele Senesi (Palonerofilm).
Poi il Movie Planet Film Festival, il Fi Pi Li Horror Festival…ora sto ora sto per andare al Future Film Festival per l’anteprima di Alienween  e per ora l’organizzazione si è già dimostrata gentilissima e sempre disponibile…mi sembra una realtà molto bella, che si regge su un duro lavoro da parte degli organizzatori e che riesce a creare ottime situazioni di incontro e confronto.




8-Alienween raccontaci le varie fasi realizzative: difficoltà, tempi ecc.

Di Alienween si è iniziato a parlare a metà del 2014, quando Alex Visani di Empire Video mi contattò perché interessato a produrre questo film partendo da un suo incipit da sviluppare in totale libertà.
L’accordo prevedeva in sostanza il mantenimento del titolo (Alienween) e delle tematiche alieni, halloween e melting movie (quindi gente che muore sciogliendosi) in cambio di organizzazione (la cosa per me fondamentale visto che ero sfinito dopo i rec u), copertura delle spese e distribuzione.
Le difficoltà atroci sono state legate principalmente al dover provvedere inaspettatamente all’organizzazione e al mettere pezze varie e clamorose in corsa, perché per quanto riguarda le persone coinvolte (attori, aiuti indispensabili sul set ecc) erano (per fortuna) tutti amici e professionisti con cui avevo già lavorato e che di fatto sono stati una forza quando tutto andava a rotoli.
Mai una lamentela e mai un cedimento. E potevano benissimo mandarmi a fare in culo in ogni momento avendone tutto il diritto vista la situazione in cui li avevo coinvolti.
Le riprese sono iniziate a fine novembre 2014 per una decina di giorni, e poi si sono concluse in diversi fine settimana da gennaio a marzo 2015.
In soldoni il film è stato aperto e chiuso in un anno, un anno e mezzo circa.


9-Che accoglienza sta avendo nei festival e soprattutto sei soddisfatto del risultato finale?
Per ora sta piacendo, a quanto pare.
Io sono molto contento del lavoro degli attori, sono stati eccellenti, tutti quanti, il film funziona grazie a loro che hanno sorretto le dinamiche comiche e drammatiche in maniera egregia.
E funziona grazie al lavoro (ma non avevo dubbi) eccelso degli effetti speciali di Camme di Fantasma Film che per l’ennesima volta ha dato tutto se stesso.
Poi tutti gli altri ovviamente. Alessandro Mignacca, Domenico Guidetti, Alberto Masoni, tutti.
Sono estremamente soddisfatto delle persone coinvolte e del lavoro di squadra.
Per il resto ho fatto quel che ho potuto.


10-Tre componenti molto importanti nei tuoi film sono: l’ironia, la visionarietà e la musica. Parlaci di questi componenti

Difficilissimo…cioè me ne dovreste parlare voi che ce li vedete…posso parlare della musica che per me è fondamentale, io soffro tantissimo il non saper suonare visto che per me immagini e ritmo musicale sono una cosa sola.
Ne fa le spese il povero Masoni che si deve rifare e risistemare le musiche mille volte fino all’odio.
 Sono una rottura di palle ma per me musica ed immagini vanno di pari passo e nei limiti cerco sempre di creare questo connubio ritmico.
La mia immaginazione è molto legata al suono ed alla melodia.
Io adoro Jim Steinman e più o meno l’incedere che inconsciamente ricreo nei film è quello di una sua canzone…Alessandro Izzo dice che faccio cinema Wagneriano come Steinman fa rock Wagneriano…io so solo che la Polonia penso di non invaderla.
Semmai il Portogallo…si spende poco, c’è il mare, è pieno di belle ragazze.

L’ironia credo sia strettamente legata alla depressione con cui vedo la realtà che mi circonda.
Ogni giorno La vita ti mette di fronte alla scelta tra risata e omicidio.
Non scelgo quella più giusta ma quella penalmente non perseguibile.

Sulla visionarietà non ho granchè da dire…io vedo le cose così come le riproduco in film e disegni…è il mio filtro personale per la riproduzione della realtà…quindi boh…è così e basta, se è visionarietà spero sia visionarietà gradevole e sensata.
Non uso le droghe. Io mi sballo solo di gesù.



Federico Tadolini