lunedì 10 giugno 2019




LE STAGIONI DEL COMMISSARIO PERSICHETTI




Ero veramente curioso di leggere questo secondo romanzo di Raffaele Totaro.
Un po’ perché  sono sempre curioso di vedere cosa riescono a tirare fuori dal cilindro gli amici, ma soprattutto perché fui tra i primi a leggere La ragazza del treno, il suo primo lavoro come scrittore.
Un libro discreto, che si leggeva tutto d’un fiato, coinvolgente, con una bella caratterizzazione dei personaggi, ma che risentiva di un finale a mio modo di vedere un pochino trascurato.
Totaro è un ragazzo poliedrico: si divide tra teatro, cinema e scrittura, non solo attore, ma anche regista. E’ un ragazzo serio, crede in quello che fa, se accetta una collaborazione, puoi star sicuro che con lui si arriverà in fondo.
Le stagioni del commissario Persichetti è un giallo, così come il libro precedente, ma se in quel caso parlai di un giallo psicologico, ora parlo senza problemi di un romanzo classico, che segue tutti i codici del genere.
Un commissario di Pistoia viene trasferito in Puglia a Manfredonia, alle prese con vari delitti che avvengono nell’arco delle quattro stagioni dell’anno.
Il libro è appunto strutturato attraverso quattro racconti che costituiscono un unicum narrativo su cui si snodano anche le vicende private del commissario Persichetti.
I personaggi sono caratterizzati benissimo, in maniera cinematografica, ovvero leggi e te li immagini tranquillamente come potrebbero essere nella realtà.
Persichetti è un commissario capace, dotato di un grande intuito, ma soprattutto la caratterizzazione che gli viene data è quella di una persona con una grandissima umanità, che riesce a provare fortissimi sentimenti che spesso lo ammantano di uno strato quasi di malinconia e solitudine.
I paesi descritti sono quelli che uno si aspetta: ovvero storie nascoste, intrighi, comari sempre pronte a spiare da dietro le finestre i nuovi arrivati nel paese.
Il tutto è descritto benissimo, come un affresco.
Lo stile della narrazione rispecchia fedelmente il genere proposto: ovvero è quello del giallo classico, senza virtuosismi, senza caricare mai i toni soprattutto nella descrizione dei delitti, quindi molto lineare.
Il punto di forza del romanzo è la descrizione della Puglia: giuro non ci sono mai stato, ma leggevo il libro e alla fine è stato come fare un viaggio in Puglia.
La nota dolente, e che ho notato nel primo e nel quarto racconto, è l’eccessiva fretta nella soluzione dell’intreccio, si arriva troppo presto alla conclusione e con colpi di scena, abbastanza “telefonati”, ma senza pregiudicare il buon esito del tutto.

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