venerdì 21 ottobre 2016

                                                  IL SEGRETO DI CAINO








Dover recensire un film, purtroppo ha anche i suoi lati negativi soprattutto quando devi scrivere in maniera non felice di un prodotto indipendente.
Una cosa che dispiace veramente, perché sono consapevole del dispiego di energie che si ritrovano dietro questi progetti, però la serietà e la sincerità sono elementi che vengono sempre prima .
Roberto Ricci autentico amante del giallo, valido scrittore con all’attivo già tre libri e numerosi racconti sparsi per diverse antologie, affida la regia a Luca Guerini, proveniente dal mondo del teatro per questo suo soggetto.
La regia a teatro è tutta un’altra cosa rispetto al cinema, codici diversi, diversa gestione degli attori e tutta una serie di espedienti tecnici che non sto ad elencare, che nel cinema se non vengono utilizzati da esperti del settore, possono pregiudicare completamente il lavoro.
Un esempio classico e come vedremo è uno degli elementi maggiormente negativi del segreto di Caino è l’audio, nel cinema soprattutto nelle riprese esterne il pericolo di vedere danneggiate delle riprese anche buone, è grosso, ma anche negli interni i piccoli rumori a cui magari non diamo peso, nel risultato finale e ad orecchie esterne possono veramente infastidire.
Il segreto di Caino parla di alcuni omicidi che avvengono nel sottobosco della comunità gay in cui alcuni giovani ragazzi si prostituiscono per ottenere regali costosi o denaro.
La storia ruota intorno alla figura di Fosco, un uomo di mezz’età che adesca su internet questi ragazzi per poi utilizzarli per i suoi giochi sessuali e per la particolare fissazione per i capi intimi dei giovani.
In italia, paese altamente omofobico e incline allo scandalo a tutti i costi (assurdo con tutti i problemi che ci sono organizzare manifestazioni altamente razziste e vergognose come il family day), l’argomento non è stato quasi mai affrontato se non in commedie becere e che non riescono a far riflettere lo spettatore.
Quindi devo dare atto a tutto il cast del film della durata di trenta minuti, di affrontare la questione senza troppi peli sulla lingua e senza fronzoli.
Purtroppo come detto precedentemente i meriti finiscono ben presto, perché sono trenta minuti tirati veramente per le lunghe, dove i dialoghi sono poco curati e c’è pochissima azione, portando lo spettatore ad annoiarsi, che per un giallo è una cosa altamente negativa.
I titoli iniziali indugiano per diversi minuti sul volto di un attore e le sue smorfie (capisco che è una scelta del regista, ma sinceramente un inizio del genere non l’ho veramente capito), per poi introdurci il personaggio di Fosco.
Qua subentra appunto uno dei difetti maggiori del film: l’audio, che a tratti diventa quasi insostenibile con il rumore esterno che sovrasta il dialogo, quasi a infastidire lo spettatore, cosa che purtroppo si ripete anche nel dialogo tra la donna e Fosco davanti all’ingresso della casa, col rumore del traffico e della pioggia che sovrasta la voce degli attori.
La nouvelle vague ci ha insegnato che le regole possono essere scardinate, però lo sguardo in macchina da parte degli attori è uno degli errori più assurdi e intollerabili che ci possano essere, che fa sprofondare il prodotto filmico nel più basso stato dell’amatorialità.
Le location andrebbero sfruttate meglio: gli interni della casa se non adeguatamente preparati (scenografo oppure lo stesso regista che sistema le cose che non vanno assolutamente inquadrate.. piccola postilla, ti ricordi Roberto per guanti neri, quanti oggetti abbiamo spostato nel negozio di Andrea?), rischiano veramente di far abbassare la qualità del film, facendo capire allo spettatore la povertà di mezzi e il grandissimo errore di accontentarsi .
Oppure altra soluzione: non riprendere in campi troppo stretti e allargare la ripresa.
Sempre riguardo la regia, non ho capito il “fuori fuoco” della macchina da presa quando riprende un attore durante un dialogo, per poi ritornare sul fuoco.
Perception shot? Ma a che riguardo? In ogni caso non è una cosa giustificata, il “vezzo” registico (non voglio parlare di errore tecnico, perché sarebbe una cosa troppo forte), deve essere giustificato, soprattutto se in un caso isolato come questo, visto che per il resto della pellicola, la regia si mantiene in maniera lineare pur se adottando scelte registiche di dubbia qualità (la ripresa in macchina da dietro con la camera piazzata male che riprende di sbieco Fosco mentre parla, mentre si tiene sul poggiatesta del passeggero).
Una cosa invece che devo dare merito al regista è l’essere riuscito (cosa difficilissima), a non scadere nel becero e nella  volgarità, cosa che per l’argomento trattato sarebbe stato il pericolo maggiore.
Le recitazioni non mi hanno convinto, ma non pregiudicano il risultato finale, capisco che i personaggi vogliono essere ripresi e descritti nella loro quotidianità, senza risultare troppo accattivanti, quindi ci possono anche stare.
La musica invece è un elemento parzialmente positivo: ovvero è ottima quando si mantiene su di un binario strumentale, particolarmente ritmato e inquietante in modo tale da far accrescere la tensione, scade molto invece quando la soluzione adottata è la classica canzone melodica all’italiana.
Il finale è curioso: divertente e originale il passaggio dei titoli di coda, assurdo e imbarazzante invece lo sguardo in macchina dell’attore con il dialogo inerente Fosco.
Quindi considero il segreto di Caino un lavoro veramente poco riuscito, ma che se eliminati gli elementi tecnici veramente imbarazzanti che ho elencato e adoperando un buon montaggio avrebbe potuto anche funzionare.


Federico Tadolini

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