AQUARIUS
VISIONARIUS
Ero
molto curioso di vedere questo documentario su Michele Soavi, per diverse
ragioni.
La
più importante, quella di conoscere meglio questo regista- autore di cui ho
visto solamente gli horror, il documentario su Dario Argento, Arrivederci amore
ciao, e due film per la televisione come Uno bianca e L’ultima pallottola.
Aquarius
visionarius è realizzato da Claudio Lattanzi (Killing birds, Everybloody’s end),
ed ha circolato per diversi festival tra cui il Fantafestival di Roma e il
prestigioso festival di Sitges, ma al momento non ha ancora avuto una
distribuzione sicura in home video, ma il buon Lattanzi mi ha gentilmente
concesso la visione del documentario.
A
chi mi chiede qual è stato il regista che mi ha fatto appassionare al cinema,
rispondo sempre “mi piacerebbe dire Mario Bava, però la verità è che sono nato
col cinema di Dario Argento, e per la precisione col film Opera, un film che
vidi a nove anni, che non riuscii a terminare, e che mi fece conoscere il
concetto di paura cinematografica”.
Se
invece qualcuno, avesse il buon senso di chiedermi: “ qual è il regista che hai
rivalutato da adulto o meglio da adolescente, quando hai iniziato a studiare un
po’ di cinema e a scoprire varie sfaccettature di questa arte?”. Risponderei
senza problemi, facendo il nome di Michele Soavi.
Aquarius
visionarius, rispecchia fedelmente l’essenza del Soavi regista di cinema,
ovvero un innovatore, nato già come autore come testimoniato dallo stesso
Argento che si meravigliava della libertà e tranquillità con cui Michele
iniziava a fare questo lavoro, grazie alla produzione dello stesso Argento, che
in quel periodo si era messo a produrre diversi film che sono entrati di
diritto nella storia del nostro cinema horror, e che allietavano i pomeriggi di
noi giovani appassionati che andavamo nelle videoteche (quando ancora non c’era
internet, e c’era più contatto umano con le persone).
Io
ho ricordi nitidi di quando ad undici anni guardavo i suoi film come La chiesa
e La setta durante le proiezioni notturne di notte horror, e nonostante fossero
pellicole che mi facessero paura (la cifra stilistica in cui da piccoli si
giudica un film horror), non capivo diversi passaggi del film, come per esempio
nella Chiesa quando la sposa rimane impigliata nelle porte della cattedrale, il
bambino che si mette a suonare la tromba e tante altre cose che nemmeno
consideravo strane, ma proprio sbagliate all’interno di un film horror, con
tutta la presunzione del pischelletto non addetto ai lavori con la bocca ancora
sporca di latte.
Quando
uscì Dellamorte Dellamore, invece mi incazzai proprio, ero già da diversi anni
nell’orbita Dylan Dog (che ancora non mi è passata, e non passerà mai), quindi
mi aspettavo un film diverso, senza capire che era la versione di Soavi del
romanzo di Sclavi di cui ignoravo l’esistenza e che certe scelte come Anna
Falchi e Masciarelli che consideravo di pessimo gusto, erano stratagemmi-
compromessi imposti e che accetterei pure io.
Da
adulto ho riscoperto il cinema di Soavi, guardando anche il tassello horror che
mi mancava all’appello ovvero Deliria (Stage fright).
Lattanzi
che conobbe Soavi sui set di Dario Argento era la persona giusta per realizzare
questo lavoro, sia per conoscenze registiche, per competenze cinematografiche
ma soprattutto per avvicinare le persone coinvolte, cosa notoria è la ritrosia
dello stesso Soavi, verso le partecipazioni ai festival.
Amico
di vecchia data, collaboratore, ma nello stesso tempo critico al riguardo di
certe scelte televisive di Soavi (concordo pure io), Lattanzi è riuscito a
scardinare le porte entrando dentro il suo mondo a facendogli fare alcune
rivelazioni, come il suo primo incontro con la paura da piccolino, grazie allo
stratagemma di alcune badanti per farlo mangiare (mi sono venuti in mente i
racconti di Pupi Avati), all’incontro con Quentin Tarantino al festival Noir di
Viareggio (cosa verissima perché in quel cinema, lungo il corridoio, si possono
vedere nella bacheca la locandina delle Iene autografata dallo stesso
Tarantino), appunto fino ad arrivare alla fase televisiva di Soavi.
Un
percorso che non posso commentare perché appunto ho visto solamente Uno bianca
con Kim Rossi Stuart e l’Ultima pallottola con Giulio Scarpati basato sul serial killer Donato Bilancia.
Film
belli perché ovviamente un regista valido non si dimentica di come si realizza
un film, però appunto destinati ad un pubblico televisivo, con tutti i codici
che impone la tv.
Come
invece specificato dallo stesso Soavi nel documentario, L’ultima pallottola fu
un vero e proprio flop, per un semplice motivo, era un film non da prima
serata, e faceva paura, quindi gli spettatori cambiavano canale.
Aquarius
visionarius, è un documentario completo, realizzato ad arte, in maniera
dinamica, intervallato da interviste a collaboratori del regista come Geleng,
Michele Placido, Sergio Stivaletti, Dario Argento, ma anche Simon Bosswell
autore della colonna sonora di Deliria che è un valore aggiunto ad uno
splendido film.
Lattanzi
per tutta la durata complessiva dell’opera, si ricorda che sta realizzando un
documentario e non un film, quindi mantiene l’assoluta padronanza di questo
mezzo e non vira su altri lidi, cosa non da poco perché spesso vediamo prodotti
che sono una via di mezzo tra il film con una regia che si permette vezzi
d’autore poco pertinenti e il documentario stesso.
Io
sinceramente in questo caso, visto e considerato che il fine di questa opera è
appunto quella di far conoscere la materia, l’argomento di cui si parla allo
spettatore, che magari ne sa poco o niente, prediligo sempre la forma classica
e meno dispersiva, e sotto questo aspetto Aquarius visionarius è perfetto.